mình thật tuyệt (diario) / giorno 2

17 ottobre

All’arrivo ad Hanoi il cielo è plumbeo e l’umido proprio come me l’avevano preannunciato. Sudo e mi confermo nell’idea di provare una e una sola invidia: quella per le persone che non sudano. Io sudo. È terribile. Sudo, sono le 8 del mattino ed è presto fatto il calcolo. Ho viaggiato per circa 24 ore tutto compreso (cioè comprese pure le sei ore di fuso in avanti). Eccomi in Vietnam. È il 17 ottobre, sudo e tutto va bene. Ho il mio visa-upon-arrival in tasca, compilo la richiesta coi miei dati, consegno la mia fototessera, pago 25 dollari, intasco la mia brava ricevuta e mi presento al gabbiotto per il controllo.

L’età delle donne vietnamite è impossibile da definire. Almeno, io non ci riesco. Consegno passaporto e visto a una ragazza che mi pare quindicenne, riprendo il passaporto con un sorriso e… azz!!!, infilo il corridoio sbagliato. La tipa urla! Oddio, che ho fatto? “Per di qua”, sembra dirmi con sguardo feroce. “I’m sorry”, sussurro. Poi corro a prendere il bagaglio. E aspetto. Sul nastro niente. Aspetto. Niente. Aspetto. Niente. Aspetto. Niente.

Altra quindicenne con un foglio: “DEVITIS”.

  • Miss Devitis?
  • Ehmmm… De Vitis, yes. What’s up?
  • Your baggage is lost in Moscow.
  • What’s???
  • Please, we have to compile a form.

Oh cazzo, ammetto d’aver pensato. Oh cazzo. Al banco dell’Ufficio Lost&found descrivo la valigia e spiego che, al momento, non so fornire né un numero di telefono né un indirizzo vietnamita ai quali rintracciarmi.

  • I’ll call you later. Ok?
  • Ok.

All’uscita dall’aeroporto m’aspetta mister-Tâm. Mi sorride e in un inglese placido e lento mi dice che aveva creduto d’aver sbagliato giorno. No, no, è che m’hanno perduto la valigia e ho dovuto compilare un foglio e poi… ufff, salve Tâm, lieta di conoscerti. Mister-Tâm ha fatto la guerra. Non mi dice granché su questo, ma l’essenziale sì, e immediatamente: Tâm ha fatto la guerra. In 45 minuti in auto tra l’aeroporto e Hanoi abbiamo il tempo di chiarire, appunto, l’essenziale. Io sono una giovane giornalista italiana coi genitori insegnanti, lui fa l’autista e con quei capelli nerissimi, lo sguardo deciso e mani grandi e ferme… ha fatto la guerra. La mia mente s’affolla di pellicole di film e documentari mentre dal finestrino osservo il paesaggio e il traffico. Mister-Tâm ha fatto la guerra e mi chiede della mia famiglia. Mi limito a rispondere alle domande piuttosto asetticamente, mentre nella mente le scene dei film e dei documentari sulla guerra in Vietnam si sovrappongono al paesaggio: l’acqua, la vegetazione, il cielo plumbeo, il traffico e, all’arrivo ad Hanoi, le contraddizioni d’ogni posto del mondo che si muove con questa velocità.

Giunta da Fabio, che m’ospita, ecco il mio angelo custode. Nhung è deliziosa e ha una soluzione per tutto: ho bisogno di rintracciare Alessandra-la-grande-Tigre che è arrivata in Vietnam da poco e ha cambiato numero (cinque telefonate, di cui tre in Ambasciata), ho bisogno di dire dove sono e dove far arrivare la mia valigia (tre telefonate in aeroporto), ho bisogno di un collegamento wifi per far sapere in Italia che sono viva (andiamo in un caffè), ho bisogno di uscire ma sono stanchissima (prendiamo lo scooter), non ho calzini e le altre scarpe sono nella valigia rimasta a Mosca (la soluzione per questa non ve la spiego). Casa di Fabio (e Fabio non c’è) è luminosa ed essenziale. Ci sentiamo, mi dà il benvenuto e m’invita a mangiare quello che mi pare. Ne approfitto e attingo dal frigo qualche nem cuốn. Sono piccoli rotoli di verdure e gamberi crudi che vanno intinti in salsa di soia chiara e piena d’aglio e peperoncino. Ci aggiungo un’insalata di cetrioli pomodoro e formaggio dolce e un dolce con ananas caramellato. Il cuoco, Tuấn, è bravissimo a mescolare sapori vietnamiti e italiani. Sono… cotta. Dopo un paio d’ore di sonno profondissimo, eccomi a scrivere sulle scale, in giardino. Mi pare un momento perfetto: posso restare a scrivere qui, nascosta nel fogliame, per un po’? Uhmmm, non ora. Bisogna muoversi.

In mattinata Nhung m’aveva fatto capire i fondamentali: sei sposata? vivi sola? da quanto tempo vivi sola? com’è casa tua? Poco più di 50 metri per una persona sola sono buoni, m’aveva fatto notare: qui in città tre persone vivono in 25 metri. E infatti la vita si svolge soprattutto per strada.

Nei miei giri pomeridiani con Alessandra-la-grande-Tigre che finalmente riesco a riabbracciare (“Non preoccuparti Lore, qui in Vietnam le cose si complicano con grande semplicità e con altrettanta semplicità si risolvono. Andrà tutto bene, vedrai!”), finalmente torno a esercitare con una certa lucidità l’osservazione del mondo. Ale m’aiuta a decodificare quello che vedo con un fiume di racconti suggestivi, sempre al confine tra realtà e leggenda. Per strada si legge, si studia, si tagliano i capelli, si mangia in “caffè” allestiti con piccoli sgabelli in plastica. M’immagino la bellezza di questi posti quando era il legno il principale materiale utilizzato. Il traffico è regolato dai clacson e dalla capacità di districarsi senza cadere (e non ho visto alcun incidente), l’architettura affianca vecchie case costruite in verticale e tempietti da cartolina a palazzi severamente sovietici e grattacieli di cemento e vetro.

Alessandra-la-grande-Tigre m’aiuta anche a ordinare l’abito che ho deciso d’indossare per la cerimonia conclusiva di mình thật tuyệt. Mi porta da Thao silk co., nella città vecchia, dove tre vietnamite con sguardo fiero e piglio deciso ci accerchiano: decido il tipo di seta e, nel farmi prendere le misure, opto per un modello tagliato “comodo”, un po’ più largo di come s’usa qui comunemente, del tradizionale ao dai.

  • I pantaloni? Chiedono se li vuoi neri o bianchi.
  • Ma no, la seta è blu, è un abbinamento orribile. (traduzione in corso)
  • Loro non ci badano. Aspetta. (traduzione in corso)
  • Chiedono se li vuoi di seta blu, ma ti costerà di più. (Ale sorride)
  • Di più quanto?
  • L’equivalente di due o tre euro. (Ale sorride e sorrido anch’io con un po’ d’imbarazzo)

Ordinato. La seta scelta è blu e lilla cangiante con disegni tipici, l’abito mi costerà 1.680.000 đồng (60 euro circa). Continuo a esercitarmi con la moneta locale acquistando poi una scheda telefonica (80mila đồng in un negozietto gestito da un ometto senza un braccio che ha capito subito che sono “straniera”), e mi gusto un frullato di mango dalla terrazza di un locale così nascosto e “oscuro” che mi pare d’essere in un altro film. Sono rapita dalla vista del lago Hoàn Kiếm, circondato dalle luci del caos contemporaneo e immerso nell’eterno antichissimo immobile presente della tartaruga d’oro che sono certa nuota nelle sue acque.

Stordita seguo Ale che racconta, stordita sorrido a bambine e bambine che mi paiono così socievoli, stordita stringo la mano a Fabio, stordita saluto la-grande-Tigre, stordita ceno con Fabio cui faccio domande sull’organizzazione della vita e della diplomazia, stordita e con molto impegno uso le bacchette per mangiare bún chả. È buonissima questa carne di maiale alla piastra bagnata in brodo di pesce e accompagnata da verdure e spaghetti di riso. Sono le 9, sono sazia di cibo, di parole, di immagini. Sono a pezzi. Fabio mi perdonerà, ma ho proprio bisogno d’andare a dormire. A domani. Buonanotte Hanoi.

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