Mese: Luglio 2020

sputare [sempre meglio] su Hegel

“La differenza per le donne sono millenni di assenza dalla storia” è una citazione tratta da “Sputiamo su Hegel” di Carla Lonzi, un classico [femminista. Lo metto tra parentesi perché è – o dovrebbe essere – un classico e basta. È del 1970]. Nella premessa al volume che contiene questo e altri testi, firmati da Lonzi personalmente o collettivamente con le donne di Rivolta Femminile, l’autrice spiega di averlo scritto perché

rimasta molto turbata constatando che quasi la totalità delle femministe italiane dava più credito alla lotta di classe che alla loro stessa oppressione.

Questa citazione è una di quelle inserite tra le luminarie allestite per la sfilata cruise di Dior: l’altro giorno milioni di persone in tutto il mondo l’hanno vista online in diretta da Lecce, la città dove vivo. Questo il video integrale.

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Dior Cruise 2021 show from Maria Grazia Chiuri in Lecce (Puglia, Italy).

Due [ovvie, ma non si sa mai] precisazioni, prima di continuare:

  1. Tutto quello che scriverò non vuole essere un’esegesi della performance collettiva orchestrata dalla direttrice creativa della maison francese, Maria Grazia Chiuri. Si tratta di mie opinioni e interpretazioni. Personali. Che nascono dall’interesse per quest’artista.
  2. Cercherò di procedere, come posso e come riesco, integrando in modo chiaro alle valutazioni generali alcuni riferimenti particolari, cioè che hanno a che vedere con il Salento. Perché ci vivo, quindi inevitabilmente la mia storia personale influenza la mia percezione.

Cominciamo.

Le modelle che hanno indossato gli abiti della collezione cruise 2021 ideati da Maria Grazia Chiuri [la quale, nell’incontro con la stampa che ho potuto seguire, ha tra l’altro chiarito di lavorare con un ufficio stile di 80 persone, oltre che ovviamente all’interno di una più complessa organizzazione aziendale], hanno sfilato in piazza Duomo. È chiusa su tre lati. Oltre all’ingresso principale, chi la conosce sa che un’altra “via di fuga” è solo attraversando la cattedrale. Bisogna entrarci e, inevitabilmente, passare “davanti” all’altare. La piazza è stata allestita come in una delle feste delle nostre, quelle dei santi patroni, circondata da luminarie e con, al centro, una cassa armonica, un palchetto anch’esso con luminarie dove ancora si esibiscono le “bande”. Dietro le luminarie i “monumenti” non scomparivano, si vedevano bene – tra l’altro – la sommità della facciata laterale del duomo con lo stemma della curia e, dietro la citazione di Lonzi, il “seminario vecchio”, come lo chiamiamo [ce n’è un altro “nuovo”, in periferia].

Per la progettazione di questo set, Chiuri ha coinvolto l’artista femminista Marinella Senatore. La sua viene definitiva giustamente “pratica artistica”, anche perché coinvolge “intere comunità intorno a tematiche sociali e questioni urbane quali l’emancipazione e l’uguaglianza, i sistemi di aggregazione e le condizioni dei lavoratori”. In un’intervista ad Artribune del novembre 2019 (questa: https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2019/11/intervista-marinella-senatore-stati-uniti/), Senatore spiega secondo me molto bene come lavora, cos’è la sua “School of Narrative Dance” e perché usa il termine “processione” per definire le sue performance.

Il che ci riporta alla sfilata, alla “processione” di modelle e alla danza che l’accompagnava [con il corpo di ballo della Fondazione La Notte della Taranta sulle note dell’orchestra diretta dall’attuale maestro concertatore Paolo Buonvino]. La coreografia – un mix ispirato alla pizzica, alla pizzica tarantata, alla danza delle spade – è stata curata da Sharon Eyal. Certo, forse è apparsa un po’ troppo sofferente, ma d’altra parte Chiuri ha detto chiaramente di aver studiato e fatto riferimento a “La terra del rimorso” di Ernesto De Martino, che è di fatto l’origine di tutto il “recupero” di questa “tradizione” per la quale il Salento è oramai piuttosto conosciuto [non solo in Italia]. Una donna a cui ho voluto un gran bene, purtroppo morta troppo giovane, mi diceva sempre che ballare la pizzica era per lei liberatorio. Liberatorio. Stiamo parlando della fine degli anni Novanta del Novecento, e non era stata morsa da alcun ragno, ovviamente.

Negli abiti erano evidenti i riferimenti ai colori, alle forme, ai manufatti, agli usi tipici di un territorio che, lo ricordo, è quello di origine del padre di Chiuri [che era di Tricase, ed è poi emigrato molto giovane]. Uno degli accessori che ha colpito di più è stato il fazzoletto ricamato usato a mo’ di copricapo, una reinterpretazione di qualcosa che personalmente ho visto solo in vecchie foto ma che amiche mi hanno detto di ricordare addosso alle proprie nonne. E ancora, diversi abiti sono stati realizzati con le stoffe che hanno intessuto le tessitrici della Fondazione Le Costantine [il cui motto, amando e cantando, è finito sul retro di alcune gonne], altri avevano dettagli realizzati al tombolo [è stata coinvolta la “nostra” Marilena Sparasci], i fiori di altri ancora non erano i classici dei “giardini Dior” ma quelli che si vedono nelle nostre campagne e spesso lungo le nostre strade.

Nel nostro incontro, Chiuri ha rivelato tra le altre cose che, pur di realizzare un abito che avesse delle rose realizzate al tombolo, sarebbe stata disposta a sacrificare qualcuno dei pezzi che fanno parte del suo “corredo”, e che con questo stile vorrebbe progettare l’abito da sposa di sua figlia. Sua figlia si chiama Rachele Regini, è dottoranda in gender studies e lavora con lei per “studiare come incorporare le sue idee sul femminismo e le donne all’interno delle collezioni e della sua visione del brand”. Parole sue, traduzione mia. Qui sotto il video in cui lo spiega.

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Ma soprattutto in quell’incontro Chiuri ha detto che ciò che viene realizzato al telaio o al tombolo [come pure le luminarie, ma in un altro contesto], va considerato una “espressione artistica”, non un “lavoro domestico femminile”. Non siamo davanti a qualcosa di originale. La mia non è una critica, anzi sto dicendo che secondo me la direttrice creativa di Dior conosce molto bene chi è, da dove viene e il suo personale/politico, e che ha studiato. Questo svilimento dei domestic handicrafts è già stato ampiamente denunciato dalle artiste e studiato dalla storia dell’arte.

https://www.instagram.com/p/CCYOsx5Kdlm/

Sono stata un po’ lunga. Scusate. Giungo a conclusione [tralasciando altri dettagli].

Io credo che Maria Grazia Chiuri sappia sputare su Hegel, che lo sappia fare molto bene, che sia se stessa e che usi liberamente gli strumenti che ha. E parlo di mezzi economici ma non solo.

I “corredi”, quelli che tante di noi hanno ancora, potremmo usarli per farci abiti di ottima qualità ed eterni. Gli orecchini e altri gioielli indossati dalle modelle, ispirati a pezzi custoditi nel museo MArTA di Taranto, ce li potremmo costruire, lo fanno già alcune giovani artiste che conosco. Chiunque di noi può essere una “guerriera saracena” – come hanno definito il “modello” ideato da Chiuri per questa collezione – indossando lunghe gonne e corsetti che non stringono più, stivali e sandali, capotti che ci possiamo dipingere da sole, ma soprattutto usando la nostra arte. Agendo. Appropriandoci del nostro passato [in senso collettivo, di donne]. Lavorando per affermare la nostra idea di mondo, condividendola con donne e uomini che la pensano come noi e occupando – con “leggerezza” [so che posso evitare di precisare l’accezione in cui uso la parola] – i luoghi del patriarcato.

Chiuri lo fa nel suo lavoro. Lo ha fatto a Lecce come lo aveva fatto in altri luoghi e contesti. E il marketing fa parte del suo lavoro [del lavoro di Dior], è una leva per vendere. Trentamila lampadine sulle luminarie, Giuliano Sangiorni che canta Modugno e il video di Winspeare col pasticciotto fanno parte di questa leva, in una dimensione globale in cui bisognava anche “giocare” con l’immagine dell’Italia, della Puglia e del Salento. E questo gioco servirà anche, ne sono più che certa, all’economia dell’Italia, della Puglia e del Salento.

[inciso] Il paragone è azzardato, ma pure io quando ho ideato “messinscena d’affanni” e ho coinvolto artiste/i che apprezzavo, volevo [anche] vendere i miei libri. E ne avrei venduti volentieri molti di più, naturalmente! [sto ridendo].

Può piacere o meno, quel che personalmente trovo interessante è che Chiuri sia un’artista femminista che si muove molto bene nello spazio che si è conquistata. Una donna che non chiede il permesso, che non chiede scusa, che non si sente in colpa, che non vuole piacere per forza, che progetta le sue opere avendo un’idea forte di sorellanza e amando la sua storia, personale e collettiva, e puntando sulla bellezza che molte/i di noi condividono.

Il “progetto” della sfilata mi è piaciuto per questo. Mi è piaciuto molto. Per farla breve, per un messaggio che sintetizzo così:

Amiche mie!, sputiamo [sempre meglio] su Hegel. Be brave, stay feminist and never give up!


La foto di Maria Grazia Chiuri è mia, gliel’ho scattata nel corso dell’incontro con la stampa a Lecce, il 21 luglio 2020.

ogni sbaglio è un nuovo pinto

Ero all’incontro con la stampa nel quale Chiuri – presente il sindaco Carlo Salvemini – ha raccontato il suo “progetto”, non una semplice presentazione d’abiti, né un “evento”, piuttosto una performance che anche questa volta è “collettiva”: potremo vederla domani online (la sfilata è “chiusa” per le ovvie misure anti-Covid), alle 20.45 in diretta da Piazza Duomo (link: https://www.dior.com/it_it/moda-donna/sfilate-pret-a-porter/collezione-cruise-2021). Credo che l’incontro fosse stato organizzato per “chiarire” alcune “questioni” che in questi giorni hanno tanto… appassionato alcuni mei conterranei. Tipo: le luminarie stanno bene in piazza Duomo?, una sfilata di moda non offende Dio in piazza Duomo? E altre faccende del genere, nelle quali non mi addentro perché Chiuri e questa sfilata mi interessano per altri motivi.

Da quando è in Dior, seguo con interesse il lavoro di Chiuri, ma la moda c’entra poco. C’entra invece il gusto di rintracciare i suoi riferimenti – quali artiste cita, quali coinvolge, o approfondire le sue iniziative – un talk sul femminismo o un progetto per lo sviluppo locale, nel contesto di un lavoro che ha una ribalta mondiale e che parla di femminismo come fosse la cosa più naturale del mondo. Roba che – converrete – per un’italiana (intendo: io) non è una banalità. Dopo la famosa maglietta con la scritta “We Should All Be Feminists” che citava Chimamanda Ngozi Adichie, mi ha letteralmente conquistata lavorando con Judy Chicago.

A Lecce, per la cruise, ha coinvolto l’artista femminista Marinella Senatore, alla quale ha fornito, più che un set, un palcoscenico: viene definita a multidisciplinary artist whose practice is characterized by a strong participatory dimension and a constant dialogue between history, popular culture and social structures. E in questa dimensione di partecipazione sono entrate le luminarie dei fratelli Parisi, i tessuti realizzati dalle tessitrici della Fondazione Le Costantine e la perizia al tombolo di Marilena Sparasci, l’orchestra e il corpo di ballo de La Notte della Taranta assieme all’attuale maestro concertatore Paolo Buonvino e molto altro di cui pian piano vi racconterò. In un video firmato dal regista Edoardo Winspeare, da poche ore pubblicato sui canali social di Dior, un mega spot della città (dell’altro mega spot firmato Chiara Ferragni parlerò poi, promesso).

Nell’incontro Chiuri ha parlato di sé con grande emozione: di suo padre, sua madre e sua figlia, di una zia che – guarda caso – lavorava nel castello dei Winspeare a Depressa (una frazione di Tricase, dove il regista vive ancora), della gratitudine che prova per aver potuto imparare il mestiere a contatto con i fondatori delle aziende di moda – le sorelle Fendi e Valentino, e di quella per Dior che l’appoggia nel suo percorso, della sorpresa della stampa per il suo incarico francese, della bellezza e dei talenti dell’Italia che desidera promuovere e valorizzare. Tutte cose che, in qualche modo, troveranno sintesi nella sfilata di domani, per la quale ha ringraziato della collaborazione tante delle persone coinvolte. A cominciare dal sindaco e dal vescovo. Il sindaco. E il vescovo.

“La sua narrazione femminista sfilerà di fatto nel cuore del patriarcato. Lo ha fatto apposta?”, le ho chiesto. Ha sorriso e mi ha risposto di no. Mi ha risposto che – come io stessa avevo premesso alla domanda – essere femminista per lei è “naturale” (sintesi mia): per i suoi genitori era “solo Maria Grazia”, e il femminismo inteso nella sua dimensione internazionale farà il bene dei nostri figli.

Ogni sbaglio è un nuovo pinto, aveva citato qualche minuto prima parlando della tessitura al telaio: alle Costantine le hanno fatto notare che ogni errore è un nuovo punto da cui partire, e dal quale magari potrà venir fuori un disegno originale e inaspettato. Un’idea che mi piace condividere, assieme alla descrizione di quest’altra scena: mentre le campane di sant’Irene interrompevano l’incontro e qualcuno quasi se ne scusava (eravamo nel chiostro dei Teatini, proprio accanto alla chiesa), Chiuri alzava gli occhi al cielo e sorrideva commossa.

E ora vediamo che succede domani.

Nelle foto (mie), alcuni momenti dell’incontro con la stampa.
Il profilo IG di Maria Grazia Chiuri: https://www.instagram.com/mariagraziachiuri/

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