T’appare diafana, sorriso largo di piccoli denti, risata acuta e lieve, ricci capelli tenuti assieme da mille mollette, sigarette frequenti. La leggi, poi, di ferocia attraversata. Ilaria Seclì, salentina nata a Ginevra, poeta di energia stra-ordinaria dentro voce e passi lievissimi, da anni errante tra il nord e il sud di un’Italia che le piace sempre meno, l’ho scoperta e amata per “Destino al mercato”, una poesia divenuta naturalmente uno dei manifesti di “io sono bellissima”.
Ilaria, il “grande pubblico” – così pare che si dica – ti ha conosciuta per aver scritto “Lo zoo dei proletari”. Una poesia incredibile in sé, figurarsi scritta a 19 anni. Ma ti rendi conto?
Lo zoo dei proletari è un grido, un’alternativa a un atto violento. Nasceva dalla rabbia, dalla volontà di abbattere argini e costrizioni che ammanettano la libertà individuale. Mi riferivo a certi schemi educativi che tendono a “recintare sperando di salvare”, che negano, impediscono, per evitare di. Un processo alle intenzioni di vivere. Pensavo al potere che un individuo esercita nei confronti di un altro individuo limitandone potentemente la libertà. Prima forma astratta di proprietà privata da ostacolare, denunciare, la più subdola, pervicace, pericolosa, i cui effetti sono molteplici e duraturi. Insomma, la storia di una diciannovenne di un’estrema e arretrata provincia che a 11 anni leggeva Leopardi, le Confessioni di Rousseau e I fiori del male di Baudelaire. Ricordo bene che lo scrissi in meno di un’ora, un pomeriggio di primavera. Rileggendolo, penso alla forza, alla ferocia, al coraggio.
Quella è stata la tua prima poesia?
No, la prima poesia credo di averla scritta a 9, 10 anni. Ero sola in casa, fui “presa”. Uno stato di percezione alterata, caotica pienezza. Caos armonico. E l’urgenza di trasferire su carta quel vortice, quell’estasi, quell’ubriacatura, quelle visioni che mi attraversavano e che mi portavano, ricordo, nel “bosco”, una parola che evocava ciò che avrei amato e che avrei visto, per la prima volta, molti anni dopo. Sentivo che c’era altro, altrove, che nessuno aveva educato alla familiarità con un regno invisibile in cui i sensi si affinano, si espandono per esplorare modi, mondi, sentieri misteriosi, sconosciuti. Tutto ciò che nessuno si affrettava a farti sapere, a trasmetterti, a insegnarti. Ciò che è nel prodigio non passa dalla pedagogia, dall’educazione. E ciò che deve compiersi trova sempre il modo, ti trova se ti deve trovare.
La più classica delle domande, te l’avranno fatta mille volte. Rispondi anche questa volta, ma in tre parole: cos’è la poesia?
Una visitazione. La Poesia è l’Inizio, un eterno primo sguardo. Il miracoloso. Più di tre parole, ho sforato. In verità a questa domanda bisognerebbe rispondere col silenzio.
E che cosa ti dà?
Ogni risposta sarebbe riduttiva, come per la domanda cosa ti dà il respiro, aprire gli occhi, stare al mondo?
C’è forza nella poesia?
Sì, una forza di grazia. Ho posto la mia fiducia nel vivo che non muore.
C’è differenza secondo te, nel fare poesia (o nel creare, in generale), fra donne e uomini?
Non mi interessa il genere di chi scrive ma l’onestà con cui si fa guidare nella scrittura, la ricerca e lo sforzo di perfezionamento, l’assenza di smania di arrivare da qualche parte. Conta l’atteggiamento, che dovrebbe essere di umiltà, come di chi ha la facoltà di ricreare il mondo nello spazio bianco consapevole di essere uno strumento, un medium.
Quali sono i tuoi riferimenti di poetesse e/o scrittrici? Perché?
Amelia Rosselli per la scomposta viscerale grazia, eleganza, per la disperazione fatta bouquet di margherite e chiodi, e offerta. Ecco, Alejandra Pizarnik, figlia dell’insonnia: “Sono stata tutta un’offerta, un puro vagare di lupa nel bosco”. Sua voce di selva e silenzio perfetto. Silvia Molesini, sguardo che vortica spietato sull’ordine imperfetto delle cose. Sonda ruvida tra le fughe del com’è, del cos’è stato e del cosa avevamo pre-visto, canto barbaro di grazie perdute e assenze. E altre a cui penserò tra un secondo. Ah, ecco, Antonia Pozzi, denso dialogo con la natura e il mistero che indica, armonico conversare tra l’assente e il maestoso. Catherine Pozzi la cui conoscenza devo a un libro di Marco Dotti. Catherine, il buio d’oro.
Dovessi dare un consiglio a te Ilaria di qualche anno fa, quella degli “inizi”, quale sarebbe?
A me piccola direi di non prestare orecchio a ciò che sembra più facile, che crea apparenti agi, comodità, di resistere al processo di conformazione che pratica strade meno impervie, di continuare ad avere cura di quello sguardo e di ascoltare ciò che tace e che per altre vie si rivela. Mi direi di non cedere all’ambizione che fa spesso delle cose di poesia palchi da bagaglino. Consigli inutili perché non mi sono tradita, almeno nella poesia.
Il confronto con altri “ambienti” artistici, fuori della Puglia: cosa hai notato?
In qualche caso una maggiore attitudine a fare rete, collaborare. E poi una maggiore valorizzazione anche economica del lavoro artistico.
Hai tre raccolte poetiche nel cassetto. Pensi troverai un modo di tirarle fuori?
Ah, gli inediti… tra cui la creatura più amata e riuscita, “L’impero che si tace”, prose poetico-geografiche scritte viaggiando. Non ho fretta, evidentemente. Aspetto l’occasione/proposta migliore, magari quella che si sottrae al costume imperante di chiedere soldi per la pubblicazione. È un’impresa, lo so, ma non è impossibile. Bisognerebbe trovare modi per entrare nel “sistema”, dice qualcuno, crearsi varchi, anelli, ponti, farsi strada. Ecco, non ne ho né il tempo né la voglia né l’attitudine. Credo ancora nei rapporti umani guidati dalla schiettezza, dalla gratuità, accadono casualmente per rivelarsi poi necessari.
Ilaria Seclì ha pubblicato “D’indolenti dipendenze” (Besa 2005), “Chiuderanno gli occhi” (con Antonio Diavoli, Quaderni di Cantarena, Genova, 2007), “Del pesce e dell’acquario” (LietoColle 2009). Nel 2007, con l’attore e regista Adamo Toma, ha inscenato lo spettacolo teatrale tratto dalla raccolta inedita “La sposa nera”. Sillogi in antologie: “Poeti Circus, i nuovi poeti intorno ai trent’anni” (a cura di Giuseppe Goffredo, Poiesis edizioni 2006), “Il Segreto delle fragole” (a cura di Giampiero Neri e Fabiano Alborghetti, LietoColle 2006), “Sud del Sud dei Santi” (a cura di Michelangelo Zizzi, LietoColle 2013).