mình thật tuyệt (diario) / giorno 3, parte prima

18 ottobre

La colazione con frutta fresca è rapidissima: io e Nhung abbiamo fretta. Il programma della mattinata prevede una riunione con Alessandra-la-grade-Tigre e Hanh (altra meraviglia con cui Ale ha lavorato alla “traduzione” del mio progetto qui in Vietnam), e un pranzo con l’ambasciatore Lorenzo Angeloni. Insomma, ci prepariamo per l’evento finale di “io sono bellissima”, la valigia non arriva e io sono senza sapone, senza calze e senza scarpe. Nhung m’accompagna al supermercato e mi guarda dubbiosa mentre scelgo soltanto prodotti vietnamiti. «Ma come», mi dice in un inglese quasi convulso, «con tutta la roba occidentale che abbiamo qui?». È che mi diverte molto osservare le etichette e aprire i barattoli per sentirne l’odore. Bagno schiuma, shampoo, della biancheria e una confezione di gomme da masticare che pare un astuccio di cachet. Alla cassa Nhung insiste perché verifichi il resto.

Ho fretta, sempre più fretta. Mi servono delle scarpe e devo tornare a cambiarmi per i miei incontri “ufficiali”. Lungo la grossa Au Co, il cui traffico riesci (incredibilmente) a dimenticare osservando il chilometrico nastro a mosaico colorato che la percorre, ci fermiamo – così mi pare di capire – al primo (e ultimo) negozio utile. Il mio piede, che è lungo 37 ma indossa il 38 perché è grassoccio, non entra nella maggior parte delle scarpine femminili disponibili in questo bugigattolo tutto specchi e tappeti. Un 39, mi serve un 39! Trovato: per qualche decina di đồng ne prendo un paio che ha troppa, troppa punta, ma che mi pare il meno peggio. Ho fretta, sempre più fretta. Nhung approva. Dice che “nonostante” siano basse e semplici vanno bene.

Quindici minuti per cambiarmi (Nhung approva anche questo) e via verso il bar dove m’aspettano Ale e Hanh. L’appuntamento è al Kinh Do Cafe, dove Catherine Deneuve s’è fermata durante una pausa delle riprese del film “Indocina”. Abbracci e sorrisi rendono Hanh ancora più bella. Minuta, delicatissima, elegante, ha una forza tutta sua nel commentare il programma della giornata di domani e il lungo percorso che ci ha condotte fin qui. Capelli neri e lunghi, dita sottili su un iPad foderato di pelle marrone, coordina le nostre ordinazioni parlando velocemente con un’assai antipatica vietnamita che entra ed esce dal retrobottega attraversando una tenda luccicante. Di tutto il buono che potrei ordinare, mi viene in mente soltanto dell’acqua. Vorrei dell’acqua fresca e un bicchiere, grazie. Poi? Niente, grazie. Dall’acqua fresca e un bicchiere. Hanh muove rapida le dita sull’iPad, Ale-la-grande-Tigre si sofferma su ogni dettaglio, io mi guardo attorno osservando le foto di Catherine Deneuve sulle pareti e mi viene in mente la volta che, dovendo per la prima volta dire cosa conoscessi della lingua francese, me ne sono uscita con oui je suis catherine deneuve. Che coraggio…

E di nuovo abbiamo fretta. Il pranzo con l’ambasciatore è in un elegante ristorante poco distante. Nomi e strade si confondono nella mente, saluti istituzionali lasciano presto il posto a chiacchiere informali su argomenti d’ogni genere, dalla cooperazione alla letteratura. Angeloni sorride quando ammette d’esser stato travolto dall’energia della grande-Tigre e sorrido anch’io nel mangiare ancora maluccio con le bacchette una sorta di tagliolini al granchio intinti in una gustosissima zuppa. Ci serviamo da grandi vassoi in acciaio, io comincio a riconoscere quello che mi piace e mi faccio consigliare qualcosa di nuovo, ci offrono yogurt per dessert. La domanda fatidica, prima o poi, sarebbe arrivata. Ed eccola.

Allora, dottoressa, cosa ne pensa? È soddisfatta?

Ci penso qualche istante, bevo un sorso di succo di lime.

Credo che “mình thật tuyệt” sia un bell’esempio di integrazione tra attività artistica, attività politica, impegno istituzionale e contributo imprenditoriale. Per nove mesi donne d’ogni età da ogni parte del Vietnam ci hanno scritto d’essere bellissime. Per me è un sogno realizzato, la prova che ho avuto una buona idea. Un’idea che funziona, che può “spostare” qualcosa anche in donne di una cultura tanto distante dalla mia. E la prova che una buona idea ha bisogno d’essere accolta, compresa, amata e diffusa. Come è successo qui.

Angeloni sorride ancora, guarda Alessandra e ci invita ad andare avanti. Non c’era neppure bisogno di suggerirlo: io e la-grande-Tigre ne parliamo da un paio di mesi. Non finisce qui. L’ambasciatore ci lascia, noi restiamo ancora mezz’ora a parlare dei nostri desideri.

E a proposito dei nostri desideri, è arrivato il momento di prenderci ora qualche ora per noi.

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