il maestro del lupo cattivo

Per ventidue anni Ico Gasparri ha fotografato fotografie. L’ha fatto principalmente a Milano, cumulando quattromila scatti di corpi femminili stampati e incollati su gigantografie pubblicitarie. Non si tratta nemmeno di corpi, ma di pezzi di corpi: seni, natiche, gambe, labbra. La storia di questo lavoro, raccolta nel volume “Chi è il maestro del lupo cattivo?” e nel sito www.ilmaestrodellupocattivo.it, è la storia – dice Gasparri – di “una lunga azione di militanza sociale”. Gli abbiamo chiesto di più in occasione di un seminario organizzato in Rettorato, nei giorni scorsi, introdotto dalla Delegata alle Pari opportunità Marisa Forcina e moderato dalla professoressa Valentina Cremonesini.

Un lavoro lungo e faticoso, con la costruzione di un archivio enorme. Perché tanti scatti?
«Facevo il ricercatore in Archeologia, prima che questo lavoro m’abbandonasse, prima che mi fosse impedito di esercitarlo. Sapevo perciò che per uno studio ben fatto serviva un’ampia base di dati, dati inappellabili. “Chi è il maestro del lupo cattivo?” non è un lavoro sulla pubblicità stradale, ma contro la pubblicità stradale: per questo tanti scatti, per dimostrare quanto fosse sessista e pervasiva. Un lavoro di militanza, perché non sono un fotogiornalista ma un artista. E la fotografia sociale è un’attività di militanza».

Essere un artista. Cosa significa per te?
«Per me è un mestiere, un artigianato, non un lusso. Le opere di questo lavoro sono quindi opere d’arte innanzitutto. È il tema ad avere risvolti sociali. Le immagini sono crude, cruente, dolorose, e raccontano quanto negli anni siano riuscite ad anestetizzare la nostra attenzione. Da una parte siamo assuefatti, dall’altra abbiamo la coscienza sporca».

Andiamo con ordine e cominciamo dal “lusso”. Questo tuo lungo e impegnativo lavoro è stato fatto in solitaria e a spese tue. Anche il libro è interamente opera tua, non ha un editore. Perché?
«La mia non è stata un’azione ‘leggera’, anzi. Si è trattato di qualcosa di molto pesante, sicuramente dal punto di vista del dispendio di energie emotive, ma anche quelle economiche sono state rilevanti. Tutti gli scatti sono stati realizzati su pellicola professionale, per esempio. Per quanto riguarda il libro, finché li ho contati 18 editori mi hanno detto no. A un certo punto mi sono stancato, ero convinto che il lavoro andasse diffuso e valorizzato e allora ho deciso di fare tutto da solo. Ero capace di farlo: ho lavorato per 15 anni in case editrici, perciò ho potuto utilizzare le mie competenze per impaginare, revisione, realizzare la copertina ed editare il libro. Questo percorso dice della solitudine e della sofferenza di un artista che ha un’intuizione. A posteriori prendersi i meriti è facile, ma ho lavorato sostanzialmente in solitudine. Mi riferisco al fatto che in Italia negli anni Novanta il sessismo non era un argomento di dibattito, eravamo all’inizio di quello che per brevità e chiarezza possiamo definire berlusconismo. Oggi, invece, tutti ne parlano».

Hai parlato di “assuefazione” e “coscienza”. Vuoi raccontarci di più?
«Siamo talmente immersi in questo meccanismo che quasi non ci fa effetto. Parlo di “cattiva coscienza” riferendomi ai discorsi che per anni ho dovuto ascoltare. Avevo pensato di intervistare pubblicitari e chiedere conto di certe scelte. Hanno cominciato a dirmi che certe immagini, così forti, così esplicite, in realtà semplicemente ritraevano una donna emancipata, allegra, moderna, integrata nella vita della metropoli. Ho smesso di intervistarli, per non farmi prendere in giro».

Immagini e violenza sulle donne: la pubblicità stradale è il maestro del lupo cattivo?
«Uno dei maestri».

E il senso del tuo lavoro? Qual è l’obiettivo? Cambiare il mondo? È possibile?
«Certo, l’obiettivo è cambiare il mondo. Ognuno può farlo, alla propria scala. Ognuno parte da sé. Cambiare il mondo si può. Sì».

quest’intervista è stata originariamente realizzata per il periodico dell’Università del Salento “Il Bollettino”

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