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una delle tavole della mostra foto-poetica "we care" della scrittrice Diana Agámez e della fotografa Luisa Machacón

chi cura chi?

Sabato 4 novembre 2023 alle 12 chiuderò un capitolo e ne aprirò un altro. Concretamente, e pure simbolicamente, il passaggio sarà segnato da fotografie e parole. Quelle che hanno dato vita, o meglio una delle vite, a “We care”, una mostra, un progetto della scrittrice Diana Agámez e della fotografa Luisa Machacón, una riflessione fotografica e letteraria che parla di corpi ed erotismo femminile attraverso la narrazione della relazione tra una nonna e una nipote, Francisca “Pacha” Florez de Pájaro e Diana Agámez, tessuta in un quartiere di periferia di Cartagena de Indias, in Colombia.

Per chi è a Lecce o ci passerà, la mostra sarà visitabile fino al 18 novembre negli spazi del Centro sociale di viale Roma, su iniziativa di “Alice e le altre” con Collettiva edizioni. Periferia, direbbero alcuni. Se non fosse che Lecce è piccola e questa idea di periferia mi fa sorridere. Ma sì, in qualche modo è periferia. Per luogo, per contenuti. Un centro sociale per persone “anziane”. Parliamone. O meglio: ve ne voglio parlare.

Mi chiamo Loredana De Vitis e sono la curatrice di questa mostra. Di questa “edizione” di “We care”. Ma che dici? Che scrivi?, forse chiederete. Ecco, ho iniziato così per “posizionarmi”, come ho imparato a fare, per dire da dove parto. Ho 45 anni, vivo a Lecce, sono una scrittora, scrivo insomma in varie forme affermando di farlo a partire dal fatto d’essere – di identificarmi con – una donna. Cosa vuol dire lo ri-stabilisco ogni giorno, e non da sola.

Pensando alla mia esperienza finora e alla parola “cura”, l’associazione di idee illumina la scena della mia vita portando come su un palco un figlio, alcuni gatti e gatte, alcune relazioni significative, almeno tre eventi che si definirebbero “problemi di salute”, la morte di mio nonno, le storie e la quotidianità di donne per me importantissime, che hanno segnato la mia di storia, e la storia del mondo in cui vivo anche ora. Tra le quali, dallo scorso anno, c’è anche Diana Agámez.

Ho conosciuto “We care” proprio a Lecce nel 2022, nel corso di “Conversazioni sul futuro”: Diana era in città perché tra le vincitrici del concorso nazionale “Lingua madre”, che da tempo trova spazio in questo importante festival della mia città. Avevo amato subito il suo racconto “Il mio corpo: un luogo felice”, capace di delicatezza e chiarezza, con le sue parole nitide, nette, con la sua capacità di dire molto con poche immagini, di dirlo a me a partire da un’altra vita, un altro luogo, un’altra storia. Saputo della mostra, ascoltata Diana, guardate le immagini, quel racconto si è dissolto in un flusso di pensieri di cui non ho più saputo distinguere l’origine. Sentivo che io e Diana eravamo definitivamente connesse.

Ho lavorato anni fa, con la scrittura e con immagini del mio corpo, per un progetto che ho chiamato “io sono bellissima”, un progetto sostenuto da molte donne che – a partire da un lavoro collettivo – voleva suggerire la necessità di superare gli stereotipi della “bellezza” a partire da sé. A
partire da un’idea di bellezza che non separa il corpo dalla mente, dal cuore, dalle viscere, dai pensieri, dalle azioni. Quel progetto ha diversi punti in comune con questo, tra i quali anche l’aver lavorato con una fotografa “amica”, sorella direi [Susanna Tornesello, parlo di te].

È un grande impegno mettere in gioco il proprio corpo, assumere su di sé il rischio (la certezza) del giudizio altrui essendo programmaticamente allo stesso tempo coinvolte e distaccate. È un lavoro politico. Necessario.
Sono passati diversi anni, e questo per me non è più quel tempo, il tempo di quel mio corpo e di quel lavoro. Questo è il tempo di proporre – grazie ad “Alice e le altre” e a Collettiva – un altro lavoro politico che considero indispensabile, come avevo considerato il mio: il lavoro di questa mostra, nata dalla disponibilità di Diana e di Luisa Machacón di unire le foto originariamente realizzate al testo di Diana, fino a farne un’opera “foto-poetica”, in cui poesia e immagini sono simbiotiche.

“Non è un paese per vecchie” scriveva Loredana Lipperini alcuni anni fa. Non è nemmeno un paese per giovani, mi sono detta varie volte, e oggi mi chiedo per chi è questo paese, per chi è questo mondo. Per niente e nessuno, mi vien da rispondere, ma poi penso a Collettiva e guardo “We care” e mi dico che questo è il paese, il mondo, il luogo e il tempo di narrare, come lo è sempre stato. Narrare difficoltà e bellezza, narrare per ridare complessità. E provare a cambiarlo, questo mondo.

Insomma, un anno fa ho conosciuto Diana Agámez, ho incontrato le sue parole, mi sono immersa nelle immagini che con Luisa Machacón aveva realizzato e le ho fatto la più intima delle domande: ti va di lavorare insieme perché “We care” divenga un progetto condiviso? Ed eccoci qua.

Perché considero “We care” un importante lavoro politico?

Perché parla del rapporto inter-generazionale tra persone anziane e persone giovani, alcune delle quali svolgono un “lavoro” di cura che oltrepassa l’idea di “lavoro”: la mostra mette a tema, in modo sfaccettato, la natura multipla di queste relazioni, caratterizzate da sentimenti contrastanti, dall’attaccamento al desiderio di fuga, dall’amore alla fatica.

Perché le autrici sono originarie dell’America Latina e oggi vivono in Europa: possiamo attraverso il loro sguardo narrare storie che oltrepassano nostri confini, che li rendono permeabili, e così saltare fuori dal nostro stagno, pur bello e confortevole, e crescere come essere umani.

Perché la mostra, pur toccando “temi che scaturiscono da rilevanti trasformazioni demografiche e sociali contemporanee” – come recita la scheda ufficiale – nulla cede sul piano dell’autenticità artistica. Non c’è “tecnica” per comunicare un messaggio, c’è narrazione pura. Sui corpi delle
donne nessuno stereotipo, nessun “aggiustamento” per compiacere un gusto ormai sempre più plasmato dagli strumenti digitali. Questi corpi, queste persone, queste donne sono protagoniste. In sé, per sé.

Queste donne sono protagoniste come ho immaginato possano essere tutte le persone che vedranno la mostra, a partire da me. Protagoniste nel riappropriarsi della capacità e del potere di narrare. Nel raccontare i corpi che cambiano, le storie delle relazioni, di ciò che invecchia continuando a desiderare.

A Lecce dal 4 al 18 novembre 2023 la mostra foto-poetica “We care”

Per tutte queste ragioni e per altre che troveremo assieme l’idea di ambientarla in un “centro sociale”, uno spazio che ci ha accolto e per il quale mi sento grata. Una proposta fatta al Comune di Lecce e accolta dall’Assessora al Welfare e alle Pari opportunità Silvia Miglietta. Un’idea politica cui tenevo particolarmente. Perché in questo luogo possiamo incontrare persone che mai avremmo potuto, e portare persone che mai avrebbero visto e saputo. Così vogliamo rimettere a tema il legame tra tre parole: genere, azioni e generazioni, e così magari, tra non molto, pubblicare un nuovo libro denso delle nostre storie. È quello che desidero di più ora, dopo aver realizzato il desiderio di portare a Lecce questa mostra, e in una “versione” che fino a qualche mese fa non esisteva, e che ora invece esiste ed è anche nostra. Se avete storie da raccontare, scrivetemi, o scrivete a Collettiva.

Ringrazio ancora Diana Agámez e Luisa Machacón per aver accettato di lavorare assieme, tessendo una nuova relazione artistica e umana. Silvia Miglietta e il suo gruppo di lavoro per l’ascolto, la sensibilità, l’impegno. Daniela Finocchi, che ha ideato Lingua madre, per aver iniziato anni fa la sua tessitura e per portarla avanti con entusiasmo instancabile. E soprattutto grazie alla redazione di Collettiva, per aver voluto aver cura di questo progetto, per osservare, leggere e scrivere ogni giorno e per costruire ogni minuto, per tutto ciò di cui è capace, che non smette di destare la mia meraviglia.

Parte di questo testo è inserito nel catalogo della mostra (32 pagine a colori, grafica di Roberta Cleopazzo), disponibile a richiesta scrivendo a Collettiva.

scrivere con altri tratti

Copertine e disegni nei libri sono al servizio della scrittura? Ne abbiamo discusso con Collettiva, l’editrice indipendente dei miei il posto di dio e amori in cottura e la risposta è stata: no. L’illustrazione è una forma d’arte che non “serve”, ma dialoga con chi scrive. A distanza di un anno dalla piccola rassegna “Scrivere con altri tratti. Illustrare secondo Collettiva”, vi ripropongo i video dei tre incontri che abbiamo organizzato online a cura mia e di Simona De Carlo.

Gli incontri si sono aperti con Paolo Fellico e Cristina Carlà, il primo autore dell’illustrazione di copertina di “Animula” di Mercedes Capone (Collettiva, 2019); la seconda autrice de “il colore delle cose fragili” (Collettiva, 2019), che ha scelto per l’illustrazione di copertina un’opera di Valeria Puzzovio. Due ruoli diversi, due sensibilità che si toccano, due copertine che si parlano. Questo è il video integrale dell’incontro.

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rassegna “Scrivere con altri tratti”: Paolo Fellico e Cristina Carlà dialogano con Loredana De Vitis e Simona De Carlo

Un secondo incontro ha riguardato la collana Orlando, che ho ideato e curato per Collettiva e nella quale il dialogo con l’illustrazione ha un ruolo centrale. Ne abbiamo parlato con Fabiola Berton e Roberta Ranieri, illustratrici con cui ho lavorato rispettivamente per “il posto di dio” e “amori in cottura”. Sono due artiste con le quali lavorare è stato fonte di ricchezza e bellezza. Ecco qualche ulteriore spunto, nel video integrale dell’incontro.

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rassegna “Scrivere con altri tratti”: Fabiola Berton e Roberta Ranieri dialogano con Loredana De Vitis e Simona De Carlo

Con Stefania “Anarkikka” Spanò abbiamo scelto di chiudere la rassegna: nota “illustrAutrice”, vignettista e copywriter femminista, ha firmato “Smettete di farci la festa” (People, 2021) ed è l’autrice della copertina e delle illustrazioni del recente “Stai zitta” di Michela Murgia (Einaudi, 2021). Con lei abbiamo parlato del legame imprescinbile tra arte e politica. Ecco il video integrale.

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rassegna “Scrivere con altri tratti”: Stefania Anarkikka Spanò dialoga con Loredana De Vitis e Simona De Carlo

Loredana De Vitis pianta una quercia vallonea dedicata a "il posto di dio" nella Foresta urbana a Lecce; nell'immagine assieme a Serena Gatto, Simona Cleopazzo e Teresa Musca di Collettiva edizioni indipendenti

una quercia vallonea per “il posto di dio”

La produzione e la stampa di un libro, come ogni attività umana, comporta un impatto sull’ambiente. Per questa ragione ho voluto piantare un albero speciale – una quercia vallonea – per compensare simbolicamente l’impronta ecologica lasciata dalla stampa delle prime copie del mio romanzo “il posto di dio”.

L’ho fatto nella “Foresta urbana” curata, a Lecce, dal WWF Salento: ex cave di pietra leccese per anni abbandonate, divenute un affascinante parco cittadino grazie all’impegno dei volontari.

Ringrazio per questo il WWF Salento e mio padre Vittorio, che ne è il presidente ma soprattutto la persona cui devo di più anche per questo mio essere tenacemente ambientalista. E grazie infinite all’editrice Collettiva per aver appoggiato e sostenuto questo mio desiderio.

Mi sono ripromessa di piantare una nuova quercia per ogni ristampa del romanzo. Sono certa che si tratta di un’idea che mi porterà fortuna.

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Per saperne di più sulla foresta urbana: www.forestaurbanalecce.it 

Fabiola Berton a lavoro sulle illustrazioni per il romanzo di Loredana De Vitis "il posto di dio" (Collettiva edizioni indipendenti, collana Orlando)

Fabiola Berton: l’illustratrice pícara de “il posto di dio”

La copertina del mio nuovo romanzo il posto di dio è il risultato di un desiderio e di una scelta. Fin dal momento dell’ideazione della collana Orlando, a lavoro con l’editrice Collettiva, ho spiegato che volevo farne un atelier, un posto dove la scrittura potesse incontrare [e dialogare con] altre forme di espressione e d’arte. Per “il posto di dio” questo incontro è stato con Fabiola Berton, un’artista di grande talento che mi ha fatto conoscere mio marito Davide.

Nata nel 1983 in Venezuela, laureata in Arti visive, Fabiola Berton è specializzata in 2D e 3D come concept artist, character & background designer, lighting artist, modellazione, texturing, motion graphics, graphic design e art direction. Tra le altre cose, ha lavorato come “artista delle luci e dei colori IB chiave” in Klaus. Lo avete visto? Questo è il trailer.

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Fabiola si definisce in modo semplice, secco, un’artista, e in questa definizione fa confluire le sue passioni e i suoi studi, che si spingono all’agopuntura, all’interior design e allo yoga. Della copertina e delle illustrazioni interne che avevo in mente per il romanzo ho discusso con lei via e-mail, skype e whatsapp, scrutando dal mio schermo la sua finestra sull’Irlanda [attualmente vive a Kilkenny]. Mi aveva molto attratto un suo disegno di Edimburgo su ArtStation, e a quel gioco di luci le ho chiesto di ispirarsi. Fabiola ha letto il testo e ha camminato con me per la strade della mia città attraverso le mie foto, alcuni miei video e qualche strategico link su google maps.

Del concept di copertina mi ha spiegato:

In primo piano c’è Marta e, nella sua testa, il centro storico di Lecce delineato dalla sagoma della chiesa di San Paolo [nel romanzo è inventata, ndr]: un invito a entrare nella mente della protagonista per vivere la sua storia e, allo stesso tempo, per immaginare un immenso campo di possibilità. Una strada che incuriosisce, che sembra non finire, e che propone a chi la guarda di pedalare su una piccola bicicletta o di passeggiare attorno al posto di dio. Ho lavorato perché l’immedesimazione fosse intuitiva, perché l’immagine potesse parlare al mondo in altre lingue.

la copertina del romanzo "il posto di dio" di Loredana De Vitis, con un'illustrazione di Fabiola Berton

Ho visto prima uno schizzo in bianco e nero, poi una prima prova col colore. Sono bastati pochi minuti di confronto per arrivare al risultato finale. Bellissimo, ho detto. Ho chiesto a Fabiola se qualcosa del libro l’avesse colpita in particolare. Mi ha risposto che ne ha amato la picardía. Che cosa vuoi dire?, ho insistito [non conosco lo spagnolo]. E lei: è piccante, è… frizzante.

Hai un modo molto dettagliato di descrivere sia i personaggi che le situazioni. Questo ti fa entrare nella storia, essere non solo un lettore ma vivere i personaggi, essere parte stessa di una storia che, probabilmente, tutti abbiamo vissuto anche se in modi diversi. Il romanzo è audacemente divertente, pícaro e ben scritto, femminile e lunare.

Fabiola, che cosa significa per te essere un’artista?

Penso che in qualche modo siamo tutti artisti. Abbiamo tutti questa particolare sensibilità che, in un modo o nell’altro, ci fa esprimere in modo originale e creativo. Ognuno di noi si esprime nel suo essere unico, particolare.

Sei, come me, amante della natura. Anzi, più che amante.

La natura è mia madre, la mia maestra. Se ci torniamo, potremo vivere davvero.

Quando hai cominciato a dipingere?

A 6 mesi avevo già a portata di mano il mio giocattolo preferito: una penna. Dipingevo tutto quello che incontravo, da me stessa al solito foglio di carta.

particolare dell'illustrazione di Fabiola Berton per il capitolo "il ballo di santa Lucia", all'interno del romanzo "il posto di dio" di Loredana De Vitis, Collettiva edizioni 2021
particolare dell’illustrazione di Fabiola Berton per il capitolo “il ballo di santa Lucia”, all’interno del romanzo “il posto di dio” di Loredana De Vitis, Collettiva edizioni 2021

Ma come e quando hai deciso che il disegno sarebbe diventato il tuo lavoro?

Penso che non sia stata una decisione, ma una chiamata. È quello che sono venuta a fare. Credo che la vita, se la lasci fare e la ascolti attentamente, ti fornisce mappe personalizzate, ti mette lungo i percorsi migliori per te. Devi solo avere il coraggio di percorrerli.

Mi hai detto di aver camminato attraverso molte terre con lingue e culture diverse. Dove hai vissuto? Quali sono i tuoi luoghi del cuore?

Ho vissuto in tanti posti: Venezuela, Italia, Spagna, Irlanda. Sono diventati tutti luoghi del cuore, poiché ne ho ricevuto accoglienza e ho dato loro quello che sono o quello che mi hanno chiesto. Siamo cresciuti assieme, una parte di loro è rimasta in me e io ho lasciato una parte di me in loro.

Quali sono le tue tecniche predilette?

Gli acquerelli e l’arte digitale, per il momento. Lavoro molto anche con la fotografia, poiché sono appassionata di luce.

Quali sono i lavori che, fino a oggi, ti è piaciuto di più realizzare?

Tutte le mie opere portano in sé qualcosa della mia anima. Ognuna mi ha insegnato qualcosa, mi ha dato la possibilità di esplorazione e di incontro con me stessa e il messaggio che voglio comunicare. Il mio lavoro preferito è quello che sto facendo in quel momento.

particolare dell'illustrazione di Fabiola Berton per il capitolo "viaggio ad Assisi", all'interno del romanzo "il posto di dio" di Loredana De Vitis, Collettiva edizioni 2021
particolare dell’illustrazione di Fabiola Berton per il capitolo “viaggio ad Assisi”, all’interno del romanzo “il posto di dio” di Loredana De Vitis, Collettiva edizioni 2021

Dover lavorare con me, cioè in qualche modo non essere completamente libera di interpretare il mio romanzo, è stato un limite o uno stimolo in più?

È stato davvero stimolante lavorare con te, Loredana. È stato meraviglioso il modo che abbiamo trovato per descrivere la tua esigenza di stampare l’anima del libro in immagini evocative. Le immagini permetteranno a chi legge di navigare tra le storie, sia attraverso i colori della copertina che nell’avventura delicata, elegante e monocromatica delle illustrazioni interne che, all’improvviso, si aprono come finestre permettendo di vedere una parte dell’avventura.
Devo dire che lo stile del libro è molto più adulto di quello che sviluppo come stile personale, ma l’ho trovato artistico ed elegante. Mi ha portato alla mia parte più artistica di espressione evocativa.

Quali sono state le difficoltà principali incontrate nel tuo percorso?

Di solito non definisco i piccoli ciottoli della strada come difficoltà, penso che siano semplicemente piccole scorciatoie che portano al vero sentiero. Ringrazio tutte le apparenti “difficoltà”, perché da loro si impara a camminare saldamente dalla parte giusta.

Cosa consiglieresti a una giovane donna che volesse intraprendere la tua stessa strada?

Connettiti con te stessa, con la tua vera parte artistica, connettiti con il tuo messaggio e comunicalo al mondo in modo gioioso, vivace, rinnovato. Il mondo ha bisogno di messaggi ben pronunciati, le immagini sono sempre state i migliori driver, le migliori parole, il miglior linguaggio. Usalo sapendo che possiedi un grande potere e un grande potere è una grande responsabilità. Lungo la strada ricordati di sorridere, goditela e prenditi il tempo per esplorare il silenzio, il vuoto. Svuotati in modo da poter essere riempita di chi sei veramente.

la copertina del romanzo "il posto di dio" di Loredana De Vitis, con un'illustrazione di Fabiola Berton

il 25 aprile esce “il posto di dio”

Il mio nuovo romanzo esce, finalmente, il 25 aprile. Insomma ci siamo: da domenica prossima “il posto di dio” si potrà acquistare sul sito di Collettiva, nella stanza di Collettiva in via Giusti 24 a Lecce (aperta tutti i giorni dalle 15 alle 18) e a richiesta nelle librerie indipendenti. Con mia profonda emozione, apre le pubblicazioni della collana Orlando, che ho ideato e curo per e con Collettiva.

Un lungo percorso

Lavoro a “il posto di dio” dal luglio 2012, da quando su un quadernino intonso presi i primi appunti: le caratteristiche di uno dei personaggi maschili, i passaggi principali della sua vicenda sentimentale. Erano ispirati a una storia vera, che mi era stata raccontata camminando per le strade della mia città. C’è stato poi il dono di un carteggio. Un carteggio contemporaneo, fatto di messaggi su varie piattaforme, tutti salvati e stampati perché potessi leggerli e farne ciò che volevo.

Ho cominciato a scrivere, a riscrivere, a correggere, a salvare, a buttare. Ci sono state discese e salite, letture e riletture, cambi di scenari e di personaggi. Accompagnata, per un tratto, dalla ‘mia’ writing coach Alessandra Minervini [per saperne di più su questo passaggio, trovate quattro live sul mio profilo Instagram].

Quando ho considerato la stesura terminata, più o meno nel gennaio 2019, ho lavorato per la pubblicazione approdando felicemente a Collettiva. Nei due video che seguono vi racconto perché.

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Collettiva è non la “casa” ma la “stanza” editrice con cui esce “il posto di dio”. Con la scrittrice Elisabetta Liguori facciamo una breve introduzione al “metodo” Collettiva e a due delle attività dell’editrice.
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Collettiva è stata ideata dalla scrittrice e femminista Simona Cleopazzo: ve la presento.

Di cosa parla il posto di dio?

Siamo a Lecce, alla fine anni Ottanta. O meglio: il clima è quello di Lecce, l’atmosfera pure, ma tutti i luoghi del romanzo sono inventati. Per Marta, la protagonista, è tempo di cresima e di dubbi esistenziali. Come citato nella quarta di copertina:

Non essere vergine procurava a Marta un serissimo motivo per dubitare dell’opportunità di diventare soldatodicristo.

Mentre ne parla con la sua amica Lucia durante le prove del coro nella parrocchia di San Paolo, una vecchia statua di Gesù crocifisso perde un piede. È un segno?

A proposito di questa scena, che si sviluppa in apertura del romanzo e nel corso del primo capitolo, scrive Sara Maria Serafini, direttrice di Risme, dove l’incipit è stato pubblicato (numero 9, pagina 76, con un’illustrazione di Emanuele Simonelli):

Le confidenze struggenti e un po’ spinte legate al primo amore si
possono fare in chiesa? Loredana De Vitis ci dà la risposta esatta.

Da qui una giostra di eventi comincia il suo giro. Ci salgono zia Roberta, con cui Marta è cresciuta fin da piccolissima, orfana dei suoi; la vicina di casa Olga, che la ragazza vorrebbe come madrina, e il marito Giuseppe; il primo amore Riccardo, principale causa di quei dubbi; e una piccola folla di altri personaggi che s’affacciano man mano nella storia. Tra bugie, sotterfugi, confessioni ed epifanie, Marta troverà la strada prima di tutto per non tradire se stessa.

Una storia normale

A proposito de “il posto di dio”, Collettiva scrive che

Ci vuole un gran coraggio per descrivere la normalità, e l’autrice lo fa con la sua penna pungente e ironica e con la sua voce sempre riconoscibile.

e che

Attraverso Marta, l’autrice racconta donne che parlano il linguaggio diretto della normalità, nominandola senza finzione: pene, verginità, aborto. E uomini alle prese con le proprie debolezze e pulsioni, nominate senza vergogna: l’inutilità del celibato sacerdotale, il sapore del sesso di una donna.

per concludere che

Su tutto e tutti vibra luminosa l’autentica registrazione di ciò che accade ogni giorno sotto i nostri occhi.

Ogni volta che mi si chiede quanta realtà e quanta immaginazione ci sono nelle cose che scrivo, dico sempre che la realtà è di gran lunga più incredibile della fantasia. La mia immaginazione è un tentativo di avvicinarmi alla realtà.

La copertina e le illustrazioni

L’illustrazione di copertina e due illustrazioni interne, subito prima dei capitoli 6 – il ballo di santa Lucia – e 15 – viaggio ad Assisi – sono di Fabiola Berton.

La prima presentazione [online]

La prima presentazione [online, poi speriamo anche in una prima in presenza molto presto] è in programma sulla pagina Facebook di Collettiva sabato 24 aprile 2021 alle ore 19.30; con l’introduzione e il coordinamento di Teresa Musca, che fa parte della redazione di Collettiva, de il posto di dio discuteranno la travel blogger Sabrina Barbante e Luca Bandirali dell’Università del Salento.

è nata Orlando: lèggere leggère

Nel giorno del compleanno di Virginia Woolf nasce la nuova collana cui ho pensato giorno e notte per anni anche quando non ci ho pensato. Si chiama Orlando. Non ho avuto bisogno di cercare una stanza, quella stanza c’era già, e io avevo la straordinaria fortuna di condividerla con un manipolo di donne eccezionali che credono come me nel potere creativo e trasformativo della parola: Collettiva edizioni indipendenti. Da questa alleanza verranno alla luce nuove, bellissime storie.

cos’è Orlando

Orlando è una collana che ho ideato e che dirigerò con “Collettiva edizioni indipendenti”.

perché Orlando

Orlando è un tributo a una Virginia Wolf nella quale non rimanere intrappolate, che si nutre delle sue profondità per prendere il volo. Orlando è un’idea di mondo, ideato e creato dal potere della parola: terre e lune, foreste e deserti, metropoli e villaggi, singoli e moltitudini sono plasmati nel tempo e nello spazio dal fervore creativo che solo può risiedere in un corpo. Un corpo che sente, pensa e crea. Col corpo capiamo, col corpo elaboriamo. Col corpo viviamo in quel mondo fondato sulla parola. Orlando è l’infrazione sistematica dei confini. È romanzo e racconto, storia e saggio, donna e uomo, uno stile e cento. Orlando è la libertà come presupposto, l’ironia come metodo, la leggerezza come bandiera.

per chi Orlando

Orlando propone storie per chi non teme l’uso del femminile universale.

Orlando. lèggere leggère

Due titoli nel 2021 [notizie nelle prossime settimane].
Se sei una scrittrice, ti riconosci in questa collana e hai una proposta da farmi, contattami.

mescolare cose fragili

“Ti è piaciuto? si può dire dei libri? o si dovrebbe chiedere… cosa te ne pare?”.

L’esordio della collana ‘taccuini e altre cose’ di Collettiva edizioni indipendenti è un libro di mescolanze. Di cose di persone di ricordi di speranze di pensiero e di materia. Di forza e di fragilità che sono in un’unica entità.

Cristina Carlà, il colore delle cose fragili, Collettiva edizioni indipendenti

150+1

Simona Cleopazzo sa di cosa parla e sa come parlarne.

Nell’assenza nella presenza della vicinanza della lontananza.

Di quanto si possa vivere + pensare.

Della scrittura che non è cura.

Così si parla netto diretto negli alti nei bassi nei rivoli nei risvolti.

La scrittura – ha ragione lei – è il fulcro di tutto. Ma io le devo soprattutto d’aver sputato su di lui come aveva fatto su Hegel.

Simona Clepazzo, 150+1 appunti sull’amore e sulla scrittura, Collettiva edizioni indipendenti

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