mình thật tuyệt (diario) / giorno 3, parte seconda

Si chiama Văn Miếu Quốc Tử Giám, “Tempio della Letteratura”, il posto che mi ricorda le ragioni della mia attrazione per le “cose orientali”. Entriamo e ho subito voglia di togliermi le scarpe. Mi guardo intorno, osservo cosa accade e ascolto Alessandra-la-grande-Tigre che con la sua tipica foga mi spiega dove siamo.

Quello che so è che mi sento molto bene, che respiro piuttosto profondamente, che il relativo silenzio dell’ambiente m’aiuta ad ascoltare meglio quello che sento. Attraversando i cortili, guardando i piccoli specchi d’acqua, cercando d’analizzare il “senso” delle geometrie degli ambienti, sento una fortissima emozione nel percepire il “peso” attribuito allo studio, alla conoscenza, al sapere.

Sotto uno dei porticati, decine di grandi stele di pietra sono adagiate su tartarughe giganti: così si ricordano i dottori di ricerca. E tutt’intorno una surreale quiete nonostante le decine e decine di turisti. E poi sassi, riproduzioni d’animali, un’architettura complessa e senza nemmeno un chiodo, teche con abiti di seta ricamata e carta e inchiostri, infine Confucio.

Cammini, passi attraverso portali il cui legno non devi toccare coi piedi, ascolti suonare troppi brevi minuti di antichissime melodie, poi non puoi che tentare di rendere omaggio a tanta bellezza. Chiedo ad Ale una foto sotto una delle grandi gru di legno vicine alla statua di Confucio. Da circa due anni piego quasi ogni giorno piccole gru di carta. Poi saliamo verso il tetto, per ammirare gli incastri del legno e le tegole decorate. Ovunque volano đồng. Anche noi ne abbiamo lasciati, non so dire il mio perché.

Spostandoci in macchina per raggiungere il Phủ Tây Hồ, il “Tempio della Dea Madre”, che Ale-la-grande-Tigre m’aveva spiegato da tempo essere “la più antica e autoctona delle forme di culto vietnamite”, passiamo davanti al Lăng Hồ Chí Minh, il mausoleo di Hồ Chí Minh. Poche battute tra me e Ale.

  • Voleva essere cremato.
  • Ah. E perché l’hanno imbalsamato allora?
  • Bella domanda.
  • Un personaggio così. Se dice “crematemi”, cavolo crematelo.
  • Ogni tanto scompare.
  • In che senso?
  • Penso vadano a… rifargli il trucco.

E tutt’intorno biciclette, grossi cesti con frutta e fiori su decine di biciclette. E motorini, qualunque tipo di trasporto su decine e decine di motorini.

Il Phủ Tây Hồ mi ricorda, all’inizio, certi giochi elettronici in cui velocemente devi preparare cibo orientale: riso e gamberetti da comporre in forme tutte uguali, come in tartine da mangiare in un boccone solo. Le bancarelle, lungo la strada che porta al Tempio, vendono questo genere di cibo, e molto altro. I doni alla Dea Madre sono frutta, dolci, ma anche lattine di birra o di coca. Ale sorride: forse è tutto… molto kitsch, ma non è la prima cosa che si percepisce. La prima è invece una straordinaria energia.

Insomma, dopo Confucio, eccomi al cospetto della Dea Madre. Riproduzioni d’animali anche questa volta su tutti gli altari. Tartarughe e gru, certo. Ma soprattutto noto i draghi attorcigliati. E tutt’intorno decorazioni di lacca dorata e rossa, divinità buddiste, incensi che si consumano piano, preghiere lievi. Voltandoci, il lago Hồ Tây d’un colore grigiastro.

Mi spiega la-grande-Tigre, placida, cosa possa significare affidarsi alla Dea Madre. Niente di “facile” all’orizzonte. Mentre cala il sole, acqua e cielo si confondono in una foschia che rende il nostro parlare uscendo dal Tempio ancora più… epico. Lentamente ci spostiamo lungo la riva del lago. Ci attendono Roberto-il-lungo-acquatico, Iris-la-piccola-Tigre e una cena molto attesa.

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