Categoria: love & cats

Clark Mezzacoda: consigli per convivere con gatti neri super pelosi

In questi giorni festeggiamo il quinto anniversario della nostra convivenza con Clark Mezzacoda, l’ultimo gatto a unirsi alla famiglia.

L’abbiamo conosciuto che era un batuffolo di pelo: impaurito, anzi terrorizzato, era stato trovato fortunosamente da un’amica in condizioni molto gravi ma troppo diffidente per lasciarsi curare. L’ipotesi più accreditata è che si fosse salvato [non capiamo come] dall’incontro con una volpe, che gli aveva ridotto la coda a un cencio.

Edy, la nostra amica salvatrice di gatti e altri animali, l’ha pazientemente avvicinato fino a conquistarsi la sua fiducia, e l’hai poi curato. Due operazioni sono state necessarie per la sua coda, che ora è un moncherino ma ricoperto di pelo talmente folto e lungo che non te ne accorgi. Certo, l’andatura di Clark è rimasta un po’ curva e incerta, ma è ormai solo uno dei suoi tratti di stile.

L’abbiamo portato da noi il giorno di Natale del 2015, e l’abbiamo chiamato Clark perché poche settimane prima ne avevamo conosciuto uno molto simile a York [dove era Davide per il suo dottorato di ricerca]. Un gatto nero a pelo lungo che – appunto – si chiamava Clark. Io non me n’ero accorta, ma Davide ne aveva letto subito il nome sulla medaglietta.

Il nostro Clark è ora un gattone: è tre volte tanto in quanto a stazza e a pelo, e dopo un paio d’anni di diffidenza coriacea è molto affettuoso. Ha il pelo caldissimo, dico spesso che scalda… fino a cento gradi, e poi ha una vocina deliziosa. Ha collezionato nomi di battaglia: dopo Mezzacoda [per ovvi motivi], l’abbiamo chiamato piccolo Batman, Bulletto e Rubacalzini. Giovanni dice che è il mio “priferito”.

Se state pensando di convivere con un gatto nero a pelo lungo, ho qualche consiglio per voi:

  • si mimetizzano nei posti più impensabili [Clark l’ha fatto pure vicino ai miei stivali (ovviamente neri) e davanti agli schermi del televisore o dei pc], per cui occhio agli occhi [così li vedete, non spaventatevi!] e a non schiacciarli da piccoli;
  • se glielo chiedete gentilmente, vi possono fare da scaldapiedi;
  • abbondate con la pasta al malto e procuratevi una buona aspirapolvere [di quelle piccole con l’attrezzo apposito per i peli];
  • amateli senza ritegno, portano fortuna [come tutti i gatti, ma siccome sono neri… di più].

Siamo felici di averti con noi, Clark. Buon anniversario!

storia di un fico

Nel parco vicino casa nostra, dove spesso vado a camminare, prosperano felici numerosi fichi. Ce ne sono alcuni che incorniciano muri a secco, altri ordinatamente in fila, altri ancora isolati, come quello alla cui ombra l’altro giorno io e Giovanni abbiamo suonato e cantato. Guarda il cielo, mamma, mi ha detto, e il cielo era a quello che s’intravedeva tra il fogliame.

Amo le forme e i colori di questi alberi: la corteccia ruvida d’un grigio indefinibile, i rami nodosi, il verde cangiante delle grandi foglie multilobate. E i frutti, naturalmente, che dalle mie parti credo siano tra quelli più rubati.

Guardare un fico [e mangiare fichi] è una delle cose che mi ricorda più intensamente mio nonno Giovanni. Nella casa al mare che gli apparteneva, un albero vecchio di alcuni decenni ha deliziato la nostra famiglia con migliaia di frutti dolcissimi. Per raccoglierli giornalmente, mio nonno ci si è arrampicato tutte le mattine di ogni estate fino ai suoi 85 anni usando sempre la stessa camicia sdrucita per evitarne la linfa appiccicosa. Dopo raccomandazioni d’ogni tipo, perché a una “certa età” si cominciavano a temere le cadute, verso gli ottant’anni cadde davvero, si arrabbiò molto contro certe… menagrame e si rassegnò a limitarsi ai rami più bassi.

Ricordo silenzi carichi di bellezza a sentirgli dire “l’albero della fica”, perché lo chiamava così: a me piaceva e le volte che ho provato a correggerlo l’ho fatto senza convinzione. Ricordo colazioni con fichi, latte macchiato e la copia de “La Gazzetta del Mezzogiorno” comprata dalla “bottega” che raggiungeva su una piccola bicicletta verde. Ricordo il fruscio della rasatura e la sua inconfondibile voce intonare assieme alla radio “con le pinne il fucile e gli occhiali”, prima di mettersi sottobraccio ombrellone e sdraio alla volta del mare.

Ricordo sempre più dettagli e in modo sempre più nitido man mano che passano gli anni, e non servono a farmi avere rimpianti o nostalgie. Mi piace invece che siano legami con sentimenti e non oggetti o cose… materiali. Un fico è un albero bellissimo, qualunque fico sia. Non importa che su “quel” fico che fu di famiglia magari adesso ci salga qualcun altro.

Robin vs Merida

Leggo con molto interesse thePeriod, la newsletter ideata e curata da Corinna De Cesare [a proposito, iscrizione consigliata: https://mailchi.mp/505bb0466c3a/theperiod). Questa settimana, nel pezzo “Le femministe che odiavano Melissa P.”, in un passaggio Melissa Panarello scrive qualcosa che mi ha dato da pensare:

da Biancaneve a The Brave è cambiato moltissimo

Intendiamoci: il mio è un pensiero che in parte devia dall’argomento del pezzo, e il passaggio “mi ha dato da pensare” nel senso che mi ha fatto mettere a fuoco una faccenda. Ma non perdiamoci in precisazioni e andiamo al sodo.

Da Biancaneve a The Brave è cambiato moltissimo, ma per chi?

Per me sì, certo, per me femmina quarantenne, che vengo da un certo contesto, da certe letture, da certi pre-giudizi e stereotipi diffusi. Per me Merida, la protagonista di “The Brave”, è un personaggio femminile che finalmente non si realizza trovando l’amore ma esprimendo se stessa, ed è per questo non dico entusiasmante ma almeno positivo. Leggendone la storia a mio figlio Giovanni, ho capito che però questo non ha nessuna importanza. Non ha nessuna importanza per lui.

Fin da quando aveva tre mesi, leggo a Giovanni tanti, tanti libri, tanti e di diverso genere. Da qualche tempo (ora ha poco meno di tre anni), ho pensato di proporgli anche storie che in qualche modo sono legate ai miei ricordi di bambina, e di affiancarle ad altre più “contemporanee”. Ho scoperto che gli piace ascoltarle, gli piacciono i disegni, e gli piace ritrovarle nei film d’animazione. Della stessa editrice e formato, gli ho proposto anche “Robin Hood” e “Ribelle. The Brave”: li vedete nell’immagine, sono Giunti, i volumi di questa serie costano meno di dieci euro (a seconda delle edizioni). Giovanni mi ha fatto notare molto presto che sia Robin Hood che Merida sono “molto bravi a usare l’arco”, ma a parte questo… a Giovanni ascoltare “Ribelle” non piace, o meglio… lo annoia.

Non voglio dilungarmi sulle tante differenze tra le due storie, né fare un’analisi puntuale delle possibili interpretazioni. Io, semplicemente, penso che abbia ragione. Merida è noiosa. Merida non fa “niente”. Robin Hood combatte un usurpatore, ruba ai ricchi per donare ai poveri, è simpatico, è scaltro. Merida si libera da un destino che pare predefinito e… non si sposa. E allora? Che cosa significa per un bambino? [E che cosa dovrebbe significare per una bambina?]

Voglio proporre a Giovanni storie di donne nelle quali non si parla di matrimoni, di necessità di emanciparsi dalle… solite cose, voglio protagoniste interessanti che fanno cose interessanti. Nelle quali potrebbe aver voglia d’identificarsi. Ve ne vengono in mente? Suggeritemele, se vi va.

andrà tutto bene? andrà.

Non mi faccio sentire da un po’. Sono giorni intensi. Ho sperato a lungo di poter continuare a prendere la bicicletta ogni giorno, pedalare lungo le vie della mia città, mantenere tempi e ritmi che ho imparato ad amare. Ma poi ho dovuto rassegnarmici: bisogna stare a casa. Lavorare da casa. Trovare nuovi tempi e ritmi.

Ho pianto alcune volte per non saper che fare prima. Rispondere a una telefonata, scrivere una e-mail, programmare una videoconferenza, tenere in braccio e parlare con mio figlio che non si capacita ch’io possa e debba fare tutte queste cose per tante ore ogni giorno.

Sento che è già arrivato un tempo nuovo. Continuo a lavorare, riassesto gli orari della scrittura, osservo Giovanni fare e dire cose finora sconosciute. Comincio a riallinearmi. Serbo nel cuore e nella mente il dolore per quel che leggo, cerco di rielaborarlo per il futuro. Perché niente sarà più com’era. E ci sarà bisogno di risorse nuove per questo mondo rivoltato.

Ho scattato questa foto l’ultimo giorno possibile. Andrà tutto bene? Andrà.

bilancio d’inizio anno

C’è qualcosa che non so dire che mi rende spiacevoli i bilanci “finali”, quelli che mettono un punto a qualcosa. Ma la faccenda ha più a che vedere con la forma che con la sostanza, visto che non mi dispiace prendere alcune conclusioni a presupposto di ciò che potrà avvenire [e per realizzare il quale mi voglio impegnare]. Insomma, la faccio breve e provo a fare un bilancio d’inizio anno.

  1. Nel 2019 il mio mac è deceduto portando con sé alcuni [non rilevanti] archivi di immagini e documenti, e a dicembre ho irrimediabilmente affogato il cellulare facendo non ricordo più cosa. Per il 2020: un altro mac [migliore di quello che avevo] e un nuovo telefono [comprato invece a caso]. La naturalezza con cui ho fatto l’uno e l’altro acquisto mi dice molto di quel che mi interessa fare davvero nei prossimi mesi.
  2. Durante le feste Giovanni s’è ammalato [niente di grave, anzi pare piuttosto standard come esperienza per una famiglia con un bambino piccolo], facendo saltare tutti i miei orari e programmi e permettendomi così di trascorrere tanto tanto tempo a parlare, giocare, leggere, dormire assieme. Per l’ennesima volta, la vita mi insegna che è col corpo che si capiscono le cose importanti. Lo prendo a ennesimo monito per l’anno appena iniziato.
  3. Nel 2019 un vecchio nodo [di lavoro] è venuto al pettine in modo del tutto inaspettato, col risultato che mi aspettano alcuni mesi di studio molto intenso. Un’occasione per rimettere in discussione quel che mi pareva acquisito, e una prova per dimostrare a me stessa che cosa sono capace di fare.
  4. Le mie amiche e i miei amici sono delle meraviglie, e so che continueranno a esserlo. Alcune recenti scoperte renderanno il 2020 ancor più meraviglioso.

Buon anno nuovo a tutte e tutti! Enjoy the ride!

i nostri maledettissimi impegni

mi capita sempre più spesso di sentire la mancanza delle persone che mi sono accanto, quelle che vedo ogni giorno, con cui parlo, che accarezzo. macinata nella centrifuga delle cose della vita che pure ho semplificato, sciolto, ammorbidito. desiderosa di ritagliare tempo, un tempo che scorra più lentamente di quello che comprimono i nostri maledettissimi impegni.

Per favore, accetta i cookie statistics, marketing per vedere questo video.

lo spazio di un’auto

Un’auto invecchia se la usi ma anche se non la usi, come la mia che ho fatto languire per giorni e settimane e anni preferendole la bicicletta. Forse se l’è presa, non lo so, s’è lasciata morire lentamente, alla fine è stato inevitabile andare oltre. Anche perché sono cambiate tante cose, i tempi, i modi, quel che c’è da fare, e soprattutto chi riempie la mia vita di gioia e bellezza.

Per prenderne un’altra, usata e senza tanti pensieri, l’abbiamo letteralmente svuotata: ho guardato il sacco che ne è venuto fuori, pieno di carta, vecchi ombrelli e altri oggetti e non ho provato niente. Lo spazio di un’auto non c’è mai stato nel mio cuore, nella mia testa, è solo un oggetto, un mezzo, e in più inquina – ho pensato salutandola, ferma nel parcheggio della concessionaria.

Ma poi Davide mi ha ricordato “ci abbiamo portato Giovanni a casa”, e allora ho pensato pure ai chilometri fatti, ai luoghi d’approdo, alle persone con cui ho viaggiato, a ciò che ci ho trasportato.

Forse un po’ di spazio, un pochino c’è.

36+5=41 [tanti auguri Lore]

Anche quest’anno – complici i profili sui social network – ho ricevuto tantissimi messaggi di auguri, e anche quest’anno mi hanno fatto sorridere e a volte arrossire.

Per il mio compleanno numero [36+5=] 41 ho voluto trascorrere un po’ di tempo con Giovanni e con Davide che, assieme a mia madre, mi ha aiutata a realizzare una torta come quelle che piacciono a me per festeggiare in famiglia.

L’abbiamo fatta in casa come una volta, come quelle delle vecchie foto, col pan di spagna e la crema e poco di più. Ci abbiamo aggiunto della granella di nocciole, dentro ma anche sopra, cosicché alla fine pareva una focaccia di patate… ma tant’è, era comunque buonissima.

Una fetta virtuale a tutte e tutti, grazie di cuore <3

prima del poi

Prima del poi, del momento in cui tutto cambierà di nuovo perché Giovanni farà il suo ingresso ‘autonomo’ [nel senso: letteralmente ‘staccato’ da me] nella nostra quieta & caotica famiglia umano-felina [accadrà presto], voglio approfittare delle mie ultime ore di relativa lucidità per provare a raccogliere un po’ di fatti pensieri idee che si sono allineati negli ultimi mesi di attesa.

1. Maschio o femmina?

Ho dedicato un post a qualche divertente aneddoto, ma m’è capitato anche di peggio. Ho scoperto per esempio che Davide [il mio già-compagno, ora mio marito, il padre di Giovanni] “è stato bravo: il primogenito maschio” [ahah]. Se da una parte quest’ennesima battuta degna forse solo di qualche residua resistenza monarchica mi ha fatto pensare che – accidenti, viviamo ancora come secoli fa, dall’altra la funzionaria dell’ufficio comunale dove siamo andati a informarci sulle procedure per attribuire a nostro figlio entrambi i nostri cognomi non ha fatto una piega e ci ha liquidati rapidamente: “Ormai è legge, basta esprimere questa richiesta all’atto della registrazione”. Ergo, stiamo per dare inizio a una nuova dinastia 😉

Devo ammetterlo: qualche settimana fa ho provato la bruttissima sensazione di sentirmi un pochino sollevata per il fatto d’aspettare un maschio invece che una femmina. Che rabbia, è accaduto quando abbiamo cominciato ad andar per negozi [poco in verità, lo stretto indispensabile] a comprare qualche tutina. Tra strass, cuori, fiocchi e frasi idiote… sono piombata in un vortice di pensieri bui sulle dinamiche a cui andiamo incontro. A parte la sciocchezza in sé delle tutine [abbiamo poi trovato cose più o meno “neutre” e soprattutto molto simpatiche], ho assaggiato per la prima volta la preoccupazione per il lavoraccio che ci attende nel tentativo di tirar su una persona “normale”. Discorso lungo, ogni cosa a suo tempo. E per il momento non è questo.

2. Malesseri/benessere

I primi sei mesi d’attesa sono stati molto molto sereni. Sono certa che in gran parte è stato merito del fatto che ho potuto viverli a riposo e in tranquillità, sia in senso fisico che in senso emotivo/spirituale/mentale. Alcuni rischi corsi per motivi di salute sono stati tenuti molto bene sotto controllo e non hanno più di tanto influito sull’andamento della gravidanza. Non voglio considerarmi fortunata per aver avuto questa opportunità, voglio invece affermare che dovrebbe essere diritto di tutte le donne vivere l’attesa nella maniera più “salutare” possibile, ognuna secondo le proprie esigenze e necessità.

Il terzo trimestre, in estate, è stato salutato dalla simpaticissima battuta “I mesi peggiori te li fai col caldo eh?”. Non direi che sono stati “i mesi peggiori” [non capisco in che senso], ma è vero che ho sofferto tanto il caldo, anche se dove vivo – nel Salento – è cosa che provano praticamente tutti. Comunque questo “aggravio” ambientale mi ha fatto percepire in modo ancor più netto che nei mesi precedenti quanto la gravidanza sia un’esperienza di grande impatto prima di tutto fisico. Il corpo parla molto se lo si sa ascoltare [io l’ho fatto fin da subito, soprattutto dormendo e/o riposando ogni volta che ne ho sentito il bisogno]. Cambia tutto: come cammini, come dormi, come mangi osservi leggi parli respiri [tra l’altro sono scivolata due volte, che paura!]. Tachicardia e affanno nelle ultime settimane mi hanno aiutata a elaborare il distacco. Ci siamo piccoletto, è stato bello essere legati per tante settimane, sta per arrivare il momento di guardarci negli occhi respirando ognuno per sé.

3. Paure/auspici

Timori e [a volte] incubi sono a quanto pare perfettamente normali in gravidanza. Personalmente ho fatto sogni stranissimi, alcuni dei quali con trame complesse quanto film e la partecipazione di attori e attrici anche molto famosi [casting discutibile, ne dovrò parlare con la regista 😉 ]. Che Giovanni stia bene è ciò che semplicemente e naturalmente mi auguro, in ogni caso affronteremo le cose così come verranno.

Una generosa quantità di battutacce sulla vita futura con figli riguarda le difficoltà del caso, la maggior parte delle quali al momento mi sembrano molto sciocche: dormire, mangiare, gestire il pianto. Sono certa che non può essere così complicato, lo saranno di certo in futuro cose ben più impegnative. Che la vita mia e di Davide cambi è normale, non vedo perché non dovrebbe e non è la prima volta che lo fa. Insomma sento troppi lamenti in giro, mi sono fatta l’idea che molte persone farebbero bene a trovarsi scopi [o almeno qualche hobby] per mettere a fuoco il centro della propria esistenza prima di ragionare sui figli [soprattutto degli altri].

4. Percepirsi sempre bellissima

Quanto sei ingrassata? Quanto hai preso? Quanti chili pensi dovrai perdere poi? Tutta pancia comunque eh, complimenti. Sono solo alcuni degli innumerevoli commenti ricevuti a proposito della mia forma fisica in gravidanza, immagino quali potranno essere quelli che arriveranno. La cara amica Miriam mi ha fatto sorridere raccontandomi per esempio “Ma sai quella? Ha rimasta crossa [grassa]”, e suggerendomi una volta di più che dovrò scrivere qualcosa a proposito di questa nuova fase della mia [e nostra] bellezza. Diamoci tregua, amiche mie, nove mesi e un/a figlio/a non meritano di essere cancellati senza una profonda riflessione sulla forza del nostro corpo e sui cambiamenti che è capace di elaborare.

Infine: che cosa mi auguro per il più lontano futuro? Io e Davide ci siamo raccontati giusto qualche giorno fa di non aver mai nutrito particolari preoccupazioni sulla nostra capacità di essere “buoni genitori”, la questione ci pare mal posta [o forse questo ci rende già dei cattivi genitori, pazienza]. Saremo noi stessi, imperfetti naturalmente e coi nostri limiti e le nostre qualità. Quello che sappiamo per certo è che vorremmo un giorno, se ne avremo la possibilità, poter dire di aver costruito un rapporto corretto e onesto con nostro figlio. Vorremmo insomma un giorno poter constatare che noi e Giovanni, adulti, ci stimiamo reciprocamente. Nel frattempo… ci ameremo. Ci pare tutto quel che serve.

<div class="clearfix"></div>