Mese: Agosto 2016

Mi sento schiacciata dalla notizia della morte di Tommaso Labranca

Mi sento schiacciata dalla notizia della morte di Tommaso Labranca.

  • Labranca?, ma cosa è successo?, non è una persona che ha a che fare con te?, mi ha chiesto un collega stamattina d’improvviso.
  • Sì, il mio editore. Perché?, di cosa parli?, che cosa è successo?

Il collega non mi ha risposto, l’ho guardato molto male, ho cercato on line veloce sui tasti come faccio sempre quando ho una fretta cieca.

Morto. Nella notte. Sì, così leggo. Rileggo. Scrivo un messaggio. Morto.

Comincio a pensare, non riesco a pensare.

Ho un grande debito nei confronti di Tommaso. Non l’ho mai conosciuto di persona. Mi ha scritto nel 2011, attraverso il mio blog, dove mi aveva scovata cercando una raccolta di racconti sull'”amore” per la trasmissione “La bella estate” su Radio24. Ne venne fuori un’intervista per me incredibile, a distanza di anni vedo bene che ero una cretina [e lo sono dai, lo sono ancora], ostinatamente confinata in una cittadina molto molto a sud che pretendeva [e pretende ancora, con una tendenza piuttosto autolesionista mi pare a volte] di scrivere a modo suo, di autoprodursi finché non va come dice lei.

Nel 2011, quando ho veramente capito chi fosse, ci misi mesi per “digerire” la cosa. Ed è andata in crescendo. Non abbiamo perso i contatti per un po’, ci siamo scritti, io leggevo alcune delle sue cose [libri e blog] e commentavo. Poi nel 2013 decise di pubblicare quella stessa raccolta di racconti che aveva scovato con la neo-fondata micro-casa editrice 20090.

Tommaso è che è stata l’unica persona che mi ha davvero letta, analizzata, studiata, sostenuta, promossa; non dico l’unica in senso assoluto [anzi, ne avrei da ringraziare], intendo dire l’unica persona di un certo… genere, o forse dovrei dire ‘ambiente’ per capirci, ma so che questa parola non la userebbe. Sto parlando di un ambiente distante, lontano, nel quale t’aspetti di trovare chissà quali opportunità. Editoriale forse si direbbe, o… intellettuale? Ma che ne so, in queste ore non ragiono molto lucidamente su questa storia, e mi meraviglia di avere così scarso pudore nel mettermi a scrivere questa sorta di sfogo pubblico che vorrebbe essergli anche d’omaggio. Beh comunque Tommaso mi ha dato opportunità, è stato onesto, onesto in tutto, una persona educata e rispettosa. Difficile dicono, ma con me mai uno scontro come ne raccontano. Non l’ho cercato io, lui ha trovato me realizzando un desiderio che covavo.

Ho riletto diverse e-mail e alcuni messaggi che ci siamo scambiati. Sono certa che in questo momento avrebbe pessime parole per questo mio lacrimoso e in fondo autocelebrativo testo, ma è semplicemente la verità che Tommaso era una persona perbene e un artista acuto, brillante, anticonformista, geniale. Questa persona mi ha detto che scrivere è una cosa che so e devo fare. E io anche per questo continuerò a farlo. Però, Tommaso, questa tua morte non mi fa sentire bene, questa tua morte mi dà pensieri da ore, mi sento schiacciata da questa morte che in fondo non cambia niente nella mia vita. Nemmeno ti conoscevo di persona, quello che ho scritto non ti ha cambiato la vita e la professione, e tu non hai cambiato le mie. In concreto no. Ma dentro, dentro io mi sento schiacciata. Compressa nella mia somma pochezza, nella piccolezza delle cose che ho fatto e che mi pare di fare, nell’ostinazione che qualche volta mi fa far volare stracci, e soprattutto schiacciata in questo mio voler stare per conto mio a scrivere come voglio e credo, cosa che mi dicono spesso non mi porterà da nessuna parte ma che intanto m’ha fatto conoscere te. In questo modo così incredibile. Per cui essere grata.

Ciao Tommaso, tanto ci rivedremo.

a proposito di “Fuori non c’è nessuno”

“Fuori non c’è nessuno”, il romanzo di Claudia Bruno (effequ, 2016), è una “ninna nanna di periferia”? Così lo definisce il sottotitolo, io non saprei dirlo. Forse perché non mi piacciono le ninne nanne, forse perché associo le ninne nanne a sequenze di suoni tristi o almeno malinconici e a me la malinconia non piace non la sopporto, forse perché conosco Claudia non tanto ma abbastanza per non riuscire a distinguere ciò che leggo da ciò che penso di capire, fatto sta che non saprei definirlo una ninna nanna né una ninna nanna di periferia. Perché questa definizione gli darebbe in fondo un certo senso di tenerezza o, appunto, almeno di malinconia, e la capacità di “confinare” l’intreccio narrato in un posto, appunto, periferico.

Invece io dico che questo è un romanzo sul nulla… cosmico, sul nulla che è ovunque, sul nulla in cui si nasce si cresce si muore, sul nulla in cui si impara a vivere senza attaccarsi a niente e nessuno e senza esser-ci. Il nulla delle cose che s’accumulano e di quelle che non ci sono, il nulla di luoghi brutti in cui per forza di cose impari a muoverti e a volte scegli di smettere di farlo, il nulla che alla fine ti isola nel nocciolo di un’esistenza dalla quale non riesci a uscire per venire in contatto – in vero contatto – con qualcuno che non sei tu. Anche se le vite [e i corpi] di Greta e Michela [le (apparenti) protagoniste principali] appaiono intrecciate saldamente, restano singole come singole sono tutte quelle dei personaggi/non-personaggi che nella storia s’aggirano come s’aggirerebbero in uno spazio… vuoto. Il nulla, appunto.

Piana Tirrenica è un posto inventato? Il Sud che vi si paragona è un posto migliore? Qual è la periferia? Io non so dirlo, io non so dire – Claudia – se quello che ho letto è diverso da quello che sento tanto spesso aggirandomi per il Sud dove vivo. Pieno di nulla, in cui è necessario cercare e costruire il bello con ogni energia possibile per non soccombere a quello stesso nulla che devi definire per avere qualcosa cui aggrapparti, il nulla che tu così lievemente drammaticamente racconti. Un nulla (anche) generazionale: ho rivisto, rivissuto, sentito suoni sapori odori oggetti persone di un’adolescenza in fondo molesta, uscite dalla quale non abbiamo potuto trovare sufficienti occasioni di bellezza, di opportunità, di luce, di futuro.

Un romanzo che scorre velocissimo, che devi rileggere per non lasciare che ti trascini nel nulla, scritto quindi perfettamente per farti mimeticamente piombare nel disperato vuoto che ci circonda. Fuori non c’è nessuno. E neanche dentro si sta troppo bene.

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