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messinscena d’affanni / quadro 3 di 5, su “Voglio venire via con te”

Il mix voce recitante / chitarra elettrica / danza contemporanea / arte contemporanea pare abbia sortito l’effetto che speravo: un piccolo, grande shock! Ecco il racconto del terzo appuntamento (9 giugno 2012, scheda) della rassegna messinscena d’affanni in cinque quadri e un casello, ispirata alle mie “storie d’amore inventato”.


Il centro del mondo non esiste. Eppure una qualsiasi città nel profondo Sud dei Santi può essere il centro di un microcosmo, il luogo di persone di provenienza diversa – Melbourne, Harlesden, Watford, Amsterdam, Petilia Policastro, Manduria, Brindisi, Lecce. È il bello della società moderna: varia, multiculturale, eterogenea e imprevedibile. È questo il senso più profondo dell’opera di Monica Lisi che ha fatto da cornice allo spettacolo ispirato al racconto Voglio venire via con te di Loredana De Vitis realizzato al km97, che non è il chilometro di una superstrada qualsiasi, ma un suggestivo ex casello ferroviaro già restaurato e decorato (divinamente), per l’occasione, dalla solita “insopportabile” pignoleria della protagonista indiscussa della serata: Loredana De Vitis.

Vittima, si fa per dire, delle maniacali richieste devitisiane il malcapitato Andrea Verardi, ormai candidato ufficiale, dopo tre serate e quattro mesi di terapia al fianco di Loredana, al ruolo di martire, santo, beato e se vi viene in mente qualcos’altro… proponetelo pure. Il martirizzato Andrea è costretto a girare tutta la sera a risolvere problemi e a migliorare la già ottima organizzazione: dal suono alle candele, dalle luci alla musica fino alla vendita dei libri (di Loredana, naturalmente). Per Andrea ci solo desideri altrui da realizzare. Ma si sa. La perfezione è una bestia che non lascia spazio all’improvvisazione. E poi lo fa benissimo.

A presentare la serata c’è la varesina (l’accento non lascia alcun dubbio) Giovanna Parmigiani, antropologa di professione. Straniera in ogni luogo, si spera che almeno al km97 abbia trovato, per poche ore, pace, accoglienza e casa. Giovanna Parmigiani ci ha ricordato quanto i testi di Loredana De Vitis siano ricchi di spunti sulla sapienza del corpo. Amen.

La musica dark, intensa e penetrante – ma soprattutto inedita – della serata è della bravissima Cristina Cagnazzo. Per darsi un tocco più femminile indossa un vestitino estivo, un bel rossetto rosso e un impresentabile fiore rosso sui capelli. Promossa. In ogni caso non si ben comprende se il carisma e il magnetismo che emana siano dovuti al suo fascino, alla sua bravura o al potere della chitarra elettrica. Forse una combinazione e miscela perfetta di questi tre elementi.

Lo spettacolo è poi completato da Alessandra Pallara e del suo phisique du rôle. La sua performance di contorsioni sensuali, leggiadre ed elastiche riempiono lo spazio… fisico e mentale. La Genesi alle sue spalle, un quadro dell’onnipresente (quando c’è di mezzo Loredana) Monica Lisi, s’intona con il linguaggio del corpo di Alessandra Pallara che in pochi metri quadrati non solo deve aver percorso diversi chilometri ma anche, cosa molto più difficile e complessa, comunicato il senso della vita e dell’esistenza. Il rapporto tra linguaggio e scrittura, tra corpo e vita. I suoi movimenti e il flusso energetico sembravano rappresentare l’albero della vita.

testo a cura di Ubaldo Villani-Lubelli, immagini di Annalinda Piroscia

messinscena d’affanni / quadro 2 di 5, su “Questa è da bruciare”

Ho l’impressione che il secondo appuntamento della rassegna messinscena d’affanni in cinque quadri e un casello, ispirata alle mie “storie d’amore inventato”, abbia agitato acque profonde. Ecco cosa è venuto in mente a Ubaldo Villani-Lubelli la notte del 28 aprile 2012 (scheda): abbiamo tutte e tutti “Qualcosa da bruciare”?


«Buonasera Yukio».
«Buonasera».
«Una tazza di tisana?».
«Che tisana è?».
«Non lo so… mele, melissa e liquirizia… forse…».
«Meglio una birra».

Dopo qualche minuto lo spettacolo è iniziato. Yukio è lì a riflettere, osservare. Un kimono e una hakama, un vestito antico. Buona musica e qualche sorriso d’intesa.

«Che ti pare?».
«Le parole necessitano di uno spazio fisico occupato dal corpo. Scrittura e realtà sono due elementi indispensabili per scrivere romanzi… ma perché quello dorme? Sembra pure che abbia un parrucchino!».
«Ahahah. In ogni caso non ho capito che volevi dire. Ti ho chiesto: Che ti pare lo spettacolo?».
«Bella questa lampada dell’Ikea».
«Ti avevo chiesto che ne pensi!».
«Allora, vedo che non capisci proprio. Scrittura e realtà sono due elementi indispensabili. Li si deve dominare e a poco a poco si ha la sensazione di esistere e di agire».
«Si, ok… ma il corpo che c’entra?».

«Il Corpo possiede una propria logica, una propria forma di pensiero. La Bellezza e il Silenzio non sono le uniche caratteristiche del Corpo. Il Corpo è dotato di una propria loquacità specifica. È quello che stai vedendo stasera. Un’opera d’arte, per essere tale, richiede il concetto di forma che racchiude, in sé, una splendida e radiosa opera organica: il Corpo».
«Sono scettico… o forse non ho capito».
«Mi spiego meglio: la sensazione di esistere, così come la forza, non è tale se non ha un oggetto a cui applicarsi, è il rapporto fondamentale tra noi e il mondo. Veniamo forgiati a somiglianza del mondo. Nello spazio vuoto si nasconde “qualcosa”. Ora ti è più chiaro il rapporto tra corpo e parola, linguaggio e arte?».
«Un po’… non ci avevo mai pensato».
«Sì lo so… l’ho pensato io infatti!».

Continua Yukio: «Con l’intelletto e l’intuito artistico, poi, non è possibile procedere oltre dieci o venti passi di distanza. Solo l’arte esprime quell’entità ignota, quel “qualcosa”. Ma serve un mezzo».
«Le parole!».
«Bravo, esatto! Vedo che hai capito! Le parole sono un mezzo di astrazione».
«E l’artista?».
Yukio ride. «L’artista è l’Essere – vedi quel cartello? No uomo, no donna, no maschio, no femmina. L’Essere è partito dal dubbio sull’atto stesso dell’esprimersi e non può accontentarsi dell’espressione. Le parole manifestano l’indicibile».
«Una sorta di perversione del linguaggio».
«Sì, è proprio così. La parola è un mezzo che trasforma in astrazioni la realtà per trasmetterla alla nostra comprensione».

«Una volta hai scritto: La formazione del pensiero ha inizio con il tentativo di formulare in modi diversi un tema non ancora chiaro».
«Ah sì, non ricordo di averlo scritto. Ma è molto bello, lo condivido».
«Ma l’hai scritto proprio tu!».
«Mah… forse il mio alter-ego. Forse questo “pupazzo”».
«Ma è solo un abito, è solo decorativo».
«Ti sbagli, siamo noi. Questo pupazzo, quei sassolini lì, quel bigliettino che abbiamo bruciato. È il peso della nostra esistenza… la musica è proprio bella oggi. Ma che hai in mano?».
«Un angioletto di carta».
«Mmh… bello quel girasole!».
«C’è un momento di condivisione ora. Dobbiamo scrivere su questo biglietto ciò di cui vogliamo liberarci».
«È la gran moda del momento: condividere. Cose, emozioni, sentimenti, pensieri…».
«Ma tu che scrivi?».
«Non lo so. Forse niente. Lascio in bianco».
«Ma è da bruciare!?».
«Questa non è da bruciare!».
Lode a Mishima.

testo a cura di Ubaldo Villani-Lubelli, immagini di Annalinda Piroscia

messinscena d’affanni in cinque quadri e un casello

Messinscena d’affanni in cinque quadri e un casello” è una rassegna ispirata alla raccolta di racconti “storie d’amore inventato”. Danza, musica, teatro e arti figurative interagiscono in cinque serate – una per racconto – ospitate in un casello ferroviario ristrutturato e divenuto uno strano… contenitore: Km97 (via della Ferrandina 5, sulla Lecce-Novoli).


Pubblicata in forma di autoproduzione nel settembre 2010, “storie d’amore inventato” si apre così alle libere interpretazioni di artiste e artisti che mettono in scena i cinque “affanni” d’amore raccontati: Massimiliano Manieri, scrittore e performer; Assunta Fanuli, che “ricerca e sperimenta il Sé attraverso la danza storica, il teatro e i costumi”; Alessandra Pallara, coreografa e danzatrice; Giovanni Carrozzini, studioso di filosofia; Lea Barletti, attrice.

Cinque racconti per cinque serate, ospitate tra marzo e settembre 2012 nel casello ferroviario ristrutturato dall’associazione Sum, Km97, sulla provinciale Lecce-Novoli (via della Ferrandina 5): uno spazio che dice del viaggio e della stasi, e di un grande investimento di energie e creatività per la valorizzazione delle produzioni “dal basso”. Tutto il casello, allora, racconterà nei suoi spazi l’amore tormentato dei cinque racconti contenuti nel libro: “Questa è da bruciare”, “il minore dio creatore”, “chatt’ami ti prego chatt’ami”, “acqua e rose, gerani e cose” e “Voglio venire via con te”.

Ci saranno gli artisti e le artiste, che interagiranno con la stessa autrice, le musiche dal vivo della cantautrice Christine IX (con Eva Muia nelle date di marzo e aprile) e il coordinamento di giornalisti, editor, studiosi e pensatori: Elena Riccardo, Gianpaolo Chiriacò, Giovanna Parmigiani, Dario Goffredo e Melissa Perrone.

In contemporanea in mostra – oltre alle “scenografie” rappresentate dagli art work polimaterici della pittrice Monica Lisi – alcune tavole illustrate inedite ispirate ai racconti. Queste ultime sono di Federico Bollino, fumettista e illustratore salentino, e Margherita Morotti, autrice della copertina di “rossella e andrea. e Rossella e Andrea”, vincitore del concorso nazionale Subway-Letteratura 2011.

Ogni serata sarà documentata dalle immagini di Annalinda Piroscia e i testi di Ubaldo Villani-Lubelli.

Monica al di là di Monica

Questa è la presentazione scritta per “Além do além”, mostra personale di Monica Lisi in esposizione a Torchiarolo (Brindisi) dal 22 dicembre 2010 al 9 gennaio 2011 nelle sale del Centro Frizzoli (piazza Municipio).

Monica Lisi ha spesso le mani sporche di colore. Cosicché non puoi fare a meno di domandarti cosa abbia dipinto questa volta in tua assenza. Non dico che un’artista (vi prego di notare l’apostrofo) debba dipingere in presenza del suo pubblico, no. Dico solo che, se ami un’artista, vorresti saperne di più. E invece, poiché Monica è una di quelle persone che ha con le tecnologie della comunicazione un rapporto difficile, è difficile che risponda al telefono. È difficile che risponda alle mail, è difficile che si faccia trovare, è difficile che aggiorni il suo blog, è difficile che comunichi cosa accade. Cosicché non può meravigliarti che, finalmente in contatto con lei (quindi di persona), Monica ti sorprenda perché nel frattempo ha rimescolato le carte della sua arte e molto probabilmente anche quelle della sua vita. Ecco perché, quando Monica ha le mani sporche di colore, sei curiosa di sapere cosa ha combinato questa volta.

Perché Monica ha questo di meraviglioso: che è nella vita, terribilmente, violentemente, amorevolmente, tragicomicamente nella vita. E allora l’al di là che in questa mostra Monica evoca non è un altrove fuori da questa vita, ma qualcosa di profondamente dentro. In un punto così profondo che molti di noi non possono, non vogliono, non sanno, non riescono a vederlo. Cosicché sembra essere divenuto – appunto – un altrove. A ben pensarci viviamo fuori di noi, non vi pare?, espropriati della nostra autenticità, del contatto con la parte più intima di noi. Quest’intimità, invece, Monica la coltiva. Ogni giorno. Non solo con l’arte. L’intimità è qualcosa che Monica non ha paura di condividere, dando prova da sempre di un coraggio molto molto raro. Perché Monica non ha paura, non ha paura di vivere, perché Monica vive. E anche per questo comunica poco con i mezzi elettronici.

Ecco, allora, che quando Monica lavora sull’identità apre l’armadio, guarda i suoi abiti e pensa al suo portafoglio. Quando Monica lavora sull’identità pensa a cosa indossa e al luogo in cui è stato prodotto, pensa a quanto le ha fatto risparmiare oggi e a quanto le farà spendere domani. Domani, quando avremo completamente smesso di produrre nel luogo in cui abitiamo, quando la sapienza delle mani non avrà più alcun valore, in che scenario ci muoveremo? Cosa avremo davanti a noi? Quanto ci costerà allora quello che indossiamo? Da dove diremo di venire? Dove penseremo d’esser nati a quel punto?

Quando Monica lavora sulla spiritualità pensa a cosa ha provato entrando in luoghi sacri non nella forma, ma sacri per la sacralità dello spirito di chi ci entra con un perché, con una speranza, con il bisogno di credere in un legame più profondo tra le persone, e tra le persone e qualcosa di ‘altro’ dalla materia che vive nella materia stessa. Così Monica lavora immergendo le mani in questa materia, porta con sé la sua vita e quella delle persone che ha intorno, porta con sé il suo lavoro, la sua fatica, la sua inarrestabile riflessione, il suo incontenibile viaggiare. Poi torna e… si sporca le mani.

Quando Monica si guarda intorno Monica si guarda dentro, così racconta artisticamente l’inquinamento, la salute e i diritti attingendo a ciò che le è accaduto dentro. Monica guarda il lungo segno alla base del suo collo e pensa a cosa ha provato, Monica legge “il fumo uccide” e pensa a suo padre, Monica partecipa al dolore del mondo e reagisce camminando come fosse Mary Poppins con un ombrello, però, carico di bruttura e d’ansia. «Come possono non vedere?», mi ha chiesto una volta, «come possono le persone non riflettere, non chiedersi da dove viene tutto questo dolore?». Monica se l’è chiesto, ha guardato suo figlio e sua figlia, ha pensato alle sue amiche e ai suoi amici, ha pensato alla sua arte e ne ha voluto fare un gesto politico.

Un gesto che vuole scuotere, metterci di fronte uno specchio (o davanti alla sua macchina fotografica, magari) e farci domandare da dove veniamo, qual è la nostra identità e come pensiamo di coltivarla, quale futuro immaginiamo per noi e per le generazioni che verranno. Senza retorica, senza moralismi, senza ovvietà. Le domande delle domande di tutti i tempi, cui restituire senso. Qui non si tratta di dare valore a un luogo specifico in quanto luogo geograficamente definito e chiuso in se stesso nelle sue caratteristiche fisiche, sociali, culturali, nelle sue problematiche apparentemente, appunto, locali. Qui si tratta del riappropriarsi di sé in una prospettiva più ampia, che parte da un luogo e ha il mondo come orizzonte. Monica ha una foto davanti a una porta azzurra, alle sue spalle la scritta Além do além. Siamo a Lisbona, lì ha colto questo spunto quasi magico dell’idea dell’“al di là di là”, di un viaggio che definisce «iniziatico» verso – credo – una rinnovata consapevolezza di sé.

Quella che Monica per prima, e in prima persona, ci dona in questa mostra, in queste opere aperte a tecniche differenti che sollecitano tutte (per forma, per materia, per colore, per movimento) il nostro profondo, in questo nero che non riesce in nessun modo a soffocare i colori che conosciamo essere propri di quest’artista. Perché Monica fa un gesto politico, politicamente/artisticamente ci chiede di agire, di guardarci intorno, di guardarci dentro e di compiere gesti politici. Di incidere sulle nostre vite e sul mondo attorno a noi. Monica al di là di Monica è insomma in queste opere come è al di qua dell’espropriazione del senso. Forte, veemente, ancorata a una vita densa densissima, Monica invita a squarciare questa vita, a leggerla di nuovo, a viverla davvero. Una vita ironica beffarda bastarda ma una vita una vita una vita.

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