donne, matematica & politica

Nelle scorse settimane la matematica e scrittrice Chiara Valerio ha tenuto all’Università del Salento, dove lavoro ogni mattina da vari anni in qua, un seminario serio e faceto sulla politicità della matematica. Con le organizzatrici, docenti del dipartimento di Matematica e Fisica “Ennio De Giorgi”, l’avevano chiamato “Chiacchiere matematiche sul presente”, ed è stato esattamente questo. Ero lì, oltre che per il mio lavoro, per un profondo interesse personale per l’autrice e per le sue idee. M’è piaciuto ascoltare i matematici e i fisici (soprattutto i fisici) farle domande, m’è piaciuto come al solito anche il suo modo di esprimersi, di condire di colta ironia considerazioni molto serie, di mettersi sempre in discussione e di ripetere ogni volta che serviva “ci devo pensare”.

Tra acrobazie temporali che non hanno niente a che vedere col suo libro e la sua scrittura (e di cui poi vi racconterò), ho finito di leggere “La matematica è politica” (Einaudi), trovandovi una serie di spunti interessanti e motivi extra per il mio già convinto sostegno alla formazione scientifica (soprattutto per le ragazze).

L’autrice ha chiarito più volte che si tratta di una committenza, che l’ha scritto cioè su invito dell’editore, interessato a un altro libro d’argomento matematico dopo “Storia umana della matematica”, e che – dopo averne abbandonato da anni la ricerca (ha un dottorato in calcolo delle probabilità) e l’insegnamento – ha pensato di poter e voler scrivere sul tema solo un breve saggio sulla convinzione che la matematica aiuti a riconoscere la differenza tra autorità e regole. La prima imposta, le seconde oggetto di contrattazione. Di questi tempi, discrimine utile come l’acqua e il sole. Le sue argomentazioni mi convincono. Sì, sono d’accordo.

La matematica insegna che le verità sono partecipate, per questo è una disciplina che non ammette principi di autorità.

[p. 50]

In matematica alle superiori prendevo ottimi voti, ma a costo di una fatica indicibile, col relativo effetto respingente sull’idea di proseguire in questo tipo di studi. Il mio insegnante di matematica, e in fondo anche i miei genitori per un periodo, davano per ovvio che all’università avrei scelto ingegneria (da notare: non matematica, ingegneria), ma io pensavo solo alle decine e centinaia di esercizi che risolvevo di settimana in settimana per arrivare preparata ai compiti in classe o alle interrogazioni (leggi: cercavo di avere in tasca il maggior numero possibile di “casi” già visti) e speravo presto di lasciarmi alle spalle quelle frustrazioni. In breve, non mi ci sentivo “portata”. E invece…

Non è la matematica a scoraggiare […] ma il modo in cui essa è scritta e rappresentata. […] La matematica, a scuola, si insegna nel vuoto.

[pp. 4-5]

Può darsi allora che se, come Valerio scrive, avessi potuto studiare la matematica in modo diverso, meno “sospeso”, più contestualizzato, le cose sarebbero andate diversamente? Chi lo sa? Non mi sono mai pentita di aver studiato filosofia: anche quella credo mi abbia dato strumenti per discernere tra autorità e regole, e per avere un’idea articolata del concetto di verità. Però questo saggio mi ha riconciliata con quella parte di me che era [ed è] attratta dalle scienze esatte, e mi ha convinta che è essenziale integrare sempre meglio con le scienze [esatte e non] la nostra formazione italiana d’impostazione così smaccatamente crociana / gentiliana. Soprattutto per le ragazze. Perché? Per gli stereotipi che pesano sulle nostre scelte, e per quelli che pesano sul nostro lavoro, e per quelli che pesano sulle nostre reazioni, e per quelli che – ancora prima – pesano sul nostro ragionamento.

Eccone un esempio, tornando al seminario. Di tutte le domande che le potevo fare, ho scelto di farle la più emotiva (per me), frutto di periodici scoramenti al pensiero (e alla consapevolezza) che dobbiamo, pare all’infinito, insistere su certi concetti [cos’è il sessismo, perché vogliamo la parità eccetera eccetera eccetera]. Scoramento che credo sia evidente nella foto qui sotto (scattata dalla collega Daniela Dell’Anna, che ringrazio).

Vanità a parte (scusate, non ho resistito: è la mia prima e unica foto con la mascherina indosso, non ne ho mai volute fare), torniamo alla domanda. In soldoni le ho chiesto: tu che sei matematica & scrittrice, e che ultimamente sei tanto impegnata sulle… “questioni di genere” [l’avete vista per esempio a “Erosive“?], suggeriscici un metodo. Che metodo dobbiamo usare per rendere più efficace il nostro lavoro politico?

E lei (sintesi mia, abbastanza fedele):

Non mi sono resa conto per molto tempo che ci fosse un problema di rappresentazione femminile: studiare matematica ti rende molto forte sulle categorie e molto labile sui generi.
Non vedevo il problema perché nella mia famiglia non c’erano state distinzioni di genere. E poi perché, nello studio della matematica, di nuovo non ho incontrato distinzioni di genere. Ricordo sempre che, dopo un’ora e quaranta d’esame, il professore Vittorio Coti Zelati mi chiese “Valerio è il nome o il cognome?”. Non mi voleva offendere, se l’era chiesto senza guardarmi. E questa è una grande liberazione quando sei ragazzo o ragazza. Vai lì come se fossi una specie di volume teorico in mezzo ai corridoi del dipartimento. Almeno, per me è stato così.
Poi arrivo nella realtà e capisco che c’è una questione. Ed è anche vero che se non avessi avuto l’impatto d’urto di Michela Murgia non ci sarei arrivata.
In effetti la rappresentazione culturale ha a che fare con la rappresentazione demografica. Se le donne sono la metà, perché non devono essere rappresentate? E poi un’altra questione. Le donne hanno cominciato a sviluppare quella parte di cervello che è relazionale con 1.300 anni di ritardo rispetto agli uomini. Dobbiamo avere coscienza che va incrementata quella parte del cervello. Perché le donne si sconvolgono quando ricevono una critica in pubblico? Perché sono meno abituate socialmente a farlo. Allora bisogna semplicemente appropriarsi di quell’abitudine sociale che è anche parlare in pubblico, essere contraddette, assumersi responsabilità, casomai le manette. Le funzioni vanno assunte, bisogna prendersele, non rifiutarle.

[sorvolo sulla “spiegazione” della foto scattata al libro: sono cose su cui sto lavorando, e sono certa che sapete di che si tratta]

La matematica, come spesso Valerio ripete, è una grammatica di relazioni. Esercitiamoci!

Vi lascio il link al video integrale del seminario. A presto!

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